Articoli con tag “varese

29 Dicembre

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 29 DICEMBRE


Ore 18:30
INTERCEPTOR
(MAD MAX) di George Miller, 1979.

***

Ore 21:00
INTERCEPTOR – IL GUERRIERO DELLA STRADA
(Mad Max 2: The Road Warrior) di George Miller, 1981.

***

Ore 23:00
MAD MAX – OLTRE LA SFERA DEL TUONO
(Mad Max Beyond Thunderdome) di George Miller, 1985.

PROIEZIONI GRATUITE

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯

Senza titolo-1
MAD MAX

Quando una banda di teppisti motorizzati, in un Medioevo prossimo venturo, gli uccide un collega e amico, un pugnace poliziotto dà le dimissioni. Quando poi durante una vacanza selvaggi punk gli massacrano moglie e figlio, si trasforma in Mad Max il vendicatore. Palesemente ispirato ai modelli del cinema hollywoodiano di azione violenta (e di giustizia privata), l’esordiente Miller, indubbiamente dotato di un certo brio effettistico e visionario, contamina fantascienza catastrofica, film di motociclette, violenza punk, gusto dell’eccesso.

 

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
Mad Max 2: The Road Warrior

In un Medioevo venturo, gli uomini combattono all’arma bianca e si battono per il possesso della benzina, in un universo di penuria. Seguito di Interceptor (Mad Max, 1979), conferma il talento visivo e il senso del ritmo di Miller con qualche oncia di violenza in più. Trasposto nel territorio del fantastico, il personaggio del giustiziere acquista valenze supplementari.

 

 

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
Mad Max Beyond Thunderdome

Arrivato nella città di Barteltown, dove regna una feroce regina, il guerriero postatomico Mad Max sopravvive a un duello gladiatorio nell’arena ed è esiliato nel deserto dove è salvato da ragazzi selvaggi. Pur inferiore ai primi due (Interceptor, 1979, e Interceptor il guerriero della strada, 1981), ne conserva la forza, il dinamismo e specialmente la suggestione ambientale. Nella 2ª parte e nella descrizione della civiltà infantile c’è una interessante dimensione filosofica aperta alla speranza senza scivolare nella retorica consolatoria.


Domenica 15 Dicembre

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 15 DICEMBRE

Ore 18:30

MADE IN BRITAIN

di Alan Clarke, 1982.
(VO sott. italiano)

***
Ore 21:00

BENNY’S VIDEO

di Michael Haneke, 1992.
(VO sott. italiano)

PROIEZIONI GRATUITE

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

q_Cyborg_Grunge1

MADE IN BRITAIN

Il film si apre con il sedicenne skinhead Trevor (Tim Roth) che ascolta la sentenza del giudice dopo essere stato arrestato per motivi di odio razziale nei confronti della comunità pakistana e per furto. Lo vediamo uscire strafottente dal tribunale e di sottofondo c’è UK82, pezzo del gruppo punk scozzese The Exploited. Trevor viene assegnato ad un Residential Assessment Centre (centro di assistenza in cui sarà decisa la sua sorte educativa) , l’ultima spiaggia prima di finire in riformatorio o direttamente in un borstal (misura restrittiva inglese tra il riformatorio e la prigione ormai abolita).

La personalità del protagonista, interpretato ad arte da Roth è completamente nichilista e l’avvicinarsi ad idee di estrema destra propugnate dal National Front, in voga all’epoca in Gran Bretagna, sono per lui solo una scusa per sfogare la sua enorme rabbia e la suo sociopatia che lo rendono estremamente dannoso per gli altri ma in primis per se stesso. Il personaggio tratteggiato da David Leland è quanto di più forte vi sia in circolazione a livello cinematografico, ancora più violento e nichilista del suo “collega” Carlin, interpretato da Ray Winstone in Scum.

Il film cerca di stendere un’ analisi sull’utilità o meno del sistema correzionale per minori inglese, con personaggi che ne rappresentano le diverse sfaccettature. Non si schiera da una parte o dall’altra e non si pone nemmeno in un atteggiamento perbenista, ma lascia aperta una via per una riflessione, anche nel finale che è improntato in questo senso. Le scorribande di Trevor e l’interpretazione di Tim Roth non si fanno dimenticare facilmente.

Indimenticabile.

(Davide Casale)

 


¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
BENNY’S VIDEO

Benny è un quattordicenne appassionato di telecamere e video tanto che la sua stanza è occupata per la maggior parte da videocassette che lui guarda in continuazione. Un giorno invita una coetanea a casa, lei gli chiede che cosa è quello strano oggetto metallico e lui le fa vedere come funziona. Parte un colpo e da lì il dramma. Confessa tutto ai genitori e loro si preoccupano solo del futuro del bravo figliolo che si ritrovano in casa. Occorre trovare una soluzione….

Secondo film per il cinema di Haneke e secondo saggio sulla violenza e sull’ipocrisia medioborghese cristallizzata nel suo conformismo a cui non si può rinunciare. Comincia come una specie di snuff movie mostrando l’uccisione di un maiale con una pistola a proiettile captivo (quasi una citazione apocrifa di un corto di Franju girato in un mattatoio, dal vero), prosegue con la certificazione della mania del Benny del titolo (sarà un caso che è lo stesso Arno Frisch, qui adolescente, che sarà uno dei due psicopatici in guanti bianchi di Funny Games?) che con la sua telecamerina osserva tutto spiando anche i vicini, guarda in continuazione video trash sulla sua tv e ha una stanza occupata in massima parte da videocassette e culmina con un pianosequenza di oltre due minuti in cui Benny e la ragazza giocano con quello strano oggetto.

Da qui in avanti un continuo gioco al rialzo con l’ipocrisia classista che prende il sopravvento e genera l’orrore.
Rispetto al suo esordio aumentano i bersagli nel mirino ma permane la distanza che pone il cineasta austriaco tra sè e la materia narrativa. L’effetto è volutamente straniante perchè più neutro è il modo di raccontare, più si empatizza quello che avviene.

La cinepresa di Haneke si limita a documentare fatti, lasciando quasi tutto l’orrore fuoricampo, facendo immaginare più che mostrando chiaramente. Ma la brutalità dell’effetto sullo spettatore è praticamente la stessa anche perchè fatalmente si viene imprigionati in un delirio voyeuristico, lì fermi davanti al proprio schermo, guardando lo schermo nella stanza di Benny che mostra quello che la telecamera del ragazzo sta filmando.
Benny vive nel proprio mondo distorto, solo nella sua stanza con la sua telecamera che media la realtà per lui. Per lui la realtà che lo circonda è sempre in differita registrata su una videocassetta. Riguardo alla sequenza con la pistola mi è venuto il dubbio che per Benny quello che doveva essere un gioco, uno scherzo si era tramutato non volendo in una tragedia (all’inizio è lui che porge la pistola alla ragazza dandole della vigliacca perchè non spara) in cui ogni tentativo di porvi rimedio era peggio dell’errore precedente causa panico .

Anche il suo atteggiamento da ragazzino arrogante , come uno che ha fatto una cosa che potevano fare solo i grandi, rafforza il mio dubbio.
Uno pensa: è questo l’orrore che ci vuole comunicare Haneke? La risposta è:assolutamente no.
Il vero orrore deve ancora arrivare ed è racchiuso tutto nella apparente (non) reazione dei genitori. L’ipocrisia borghese non viene sgretolata nemmeno da un atto tanto violento: bisogna comunque preservare la facciata e il futuro di Benny.
Il tutto deciso così su due piedi dopo un breve conciliabolo.

“Perchè lo hai fatto?” domanda il padre
“Che cosa?” risponde Benny come se non capisse di che cosa stesse parlando.

Benny uber alles: domina il suo branco è lui il maschio alfa. I suoi genitori sono il paradigma della debolezza della società in cui vivono. Benny è al di sopra: si erge quasi a divinità arrogandosi il diritto di vita o di morte. O meglio la morte per lui non ha significato e l’atto dell’uccisione proprio perchè il concetto di morte è svuotato di qualsiasi valore appare anche esso senza significato.

(http://bradipofilms.blogspot.it/)

 


¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯


DOMENICA UNCUT

DOMENICA 24 novembre 2013

Ore 18:30
KAMIKAZE GIRLS
(下妻物語, Shimotsuma monogatari, “La storia di Shimotsuma”)
di Tetsuya Nakashima, Japan, 2004.

Ore 21:00
MEMORIES OF MATSUKO
(嫌われ松子の一生, Kiraware Matsuko no Isshō)
di Tetsuya Nakashima, Japan, 2006.
(Vo sott. in italiano)

PROIEZIONI GRATUITE


¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯

1n_Mystic_Perga_Peter_Pint

KAMIKAZE GIRLS

Una ragazza corre all’impazzata cavalcando un motorino, in una strada immersa nei campi. Non controllando un bivio, inaspettatamente, avviene lo scontro con un camioncino. La ragazza viene sbalzata in aria ed esprime il suo ultimo desiderio.

Molte storie potrebbero finire così, ma invece questo è l’inizio di un folle e divertentissimo film.

Kamikaze Girls è uno scontro di stili, di ambienti, di modi di essere. Interessante notare di come si tratti di una storia adolescenziale, ma non fatta con gli occhi di una ragazzina, ma di un adulto forse non troppo adulto, che sa perfettamente come gestire l’apparato comico, ma al contempo anche quello (melo)drammatico ed emotivo. Il film, però, possiede il non facile pregio di risucire a marcare bene la questione dell’ ”essere e dell’apparire” senza cadere nel fazioso né, soprattutto, nel pedante.

Momoko e Ichigo, sono lo specchio estremo della gioventù giapponese, la prima tutta casa, musica classica, ricamo e vestiti da lolita, la seconda indisciplinata, grezza, sempre per strada e in cerca di guai. Eppure l’apparenza non è lo specchio del loro vero essere e la più piccola e apparentemente capricciosa Momoko, si dimostra molto più matura e sicura di sé di Ichigo, che agli occhi di tutti risulta essere una persona inflessibile e tutta d’un pezzo.

Nota di merito all’attrice Anna Tsuchiya, che nel film interpreta Ichigo, riuscendo ad interpetare un ruolo non così immediato per una ragazza (una specie di surreale Bunta Sugawara al femminile); si giostra frammentariamente il ruolo della ribelle, della violenta, dell’irrispettosa, ma allo stesso tempo riesce a calarsi nella parte di una persona dal costante bisogno di una forte amicizia, di un riscontro dagli altri, senza mai perdere, però, l’atteggiamento abituale.

Kamikaze Girls non è un film da sottovalutare, non è il solito e banale veicolo pubblicitario per una cantante, è infatti ben lontano dalla solita cinematografia cool e dall’estetica da videoclip; riesce invece a fondere il gusto tipicamente giapponese per una iconografia da manga a gag che sfiorano l’inverosimile. La regia ottima e coinvolgente si fonde poi ad una fotografia satura di colori al limite del lisergico. Una buonissima sceneggiatura sorpendente e mai banale su cui tuffarsi, facendosi cullare dalle note della splendida colonna sonora di Yoko Kanno.

(Martina Leithe Colorio http://www.asianfeast.org/)

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯

MEMORIES OF MATSUKO

Immaginate un melodramma di Douglas Sirk, ma immaginatelo come se fosse stato girato in acido, e avrete lontanamente un’idea di cosa è Memories of Matsuko (2006). La nuova straordinaria opera di Tetsuya Nakashima (tratta dal romanzo di Muneki Yamada), è stato – almeno per chi scrive – il vincitore morale del Far East Film 2007.
Già il delirante e divertente Kamikaze Girls (2004), aveva fatto capire le capacità registiche di Nakashima, qui però si va ben oltre la messa in scena.

Memories of Matsuko racconta la storia della protagonista partendo dalla fine e si dispiega di fronte ai nostri occhi sotto forma di flashback. Un percorso, che ci accompagna attraverso il Giappone degli ultimi cinque decenni e delinea la tragica, a volte comico-grottesca, vita di una ragazza che, senza troppi giri di parole, voleva soltanto amare e soprattutto essere amata.

Lo stile visivo coloratissimo (che guarda alla pittura, ma anche alla pubblicità), stracolmo di idee e ricca di particolari, rimane lo stesso di Kamikaze Girls, con una fotografia e un uso dei colori strepitosa, ma è la costruzione della storia e dei personaggi che si compie in maniera memorabile.
Buona parte del merito va al notevole cast, con in testa Miki Nakatani, meritatamente premiata per la sua interpretazione ai Japan Academy Awards, e il giovane Kawajiri Shou nel ruolo del nipote che ripercorre la vita di Matsuko.

In Memories of Matsuko, la commedia, già piuttosto nera, si colora rapidamente di tragedia per finire nel melodramma più puro, senza apparire mai stucchevole, mai ridicola, mai ricattatoria. Il regista inoltre si concede frequenti incursioni nel musical, con lunghe elaboratissime coreografie ed una azzeccata colonna sonora (a cura dell’italiano Gabriele Roberto, è stata premiata ai JAA), che copre in pratica ogni direzione musicale immaginabile.

Insomma, il film è una densa bouillabaisse di generi, stili, sperimentazioni, sentimenti ed emozioni, che quasi faticano ad essere tutti contenuti, ma che magicamente trovano un loro perfetto equilibrio, creando un ritratto assolutamente unico e coinvolgente, come non se ne vedevano da un bel pezzo. Nakashima (il cui prossimo film, Paco and the Magical Picture Book, ci esalta fin dal titolo), senza dubbio uno dei registi giapponesi contemporanei più interessanti, ci regala con Memories of Matsuko un racconto struggente di rara bellezza, che potrebbe commuovere anche un sasso.

Cinema con la C maiuscola. Da non perdere.

( Paolo Gilli http://www.asianfeast.org/ )


[3/NOV] AMERICAN MARY // HELLDRIVER

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 3 novembre 2013

Ore 18:30
AMERICAN MARY

di Jen Soska, Sylvia Soska, 2012.
(VO sott. italiano)

***
Ore 21:00
HELLDRIVER

(ヘルドライバー)

di Yoshihiro Nishimura, 2010.
(VO sott. italiano)

PROIEZIONI GRATUITE

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯

Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)
¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯

1n_Mystic_Perga_Sophia_Round


AMERICAN MARY

Se mai, nella storia del cinema horror, è esistito un film dichiaratamente “femminista” nel senso più stretto del termine, non potrebbe che essere questo American Mary, vero e proprio canto del cigno al sangue sull’emancipazione della donna.

Colpevoli dell’operazione sono due sorelle gemelle qui alla seconda prova registica, le signorine Soska, presenti nel film in un piccolo cameo nel ruolo di due gemelle dark che non possono essere siamesi perchè non legate nella carne (in pratica loro stesse).

Queste gentili donzelle ci portano attraverso il volto glaciale ma ultrasexy della protagonista, Mary Mason (bastava una …lyn in più sul nome per rendere esplicito l’omaggio!), in una sorta di inferno underground ambientato per lo più dentro un locale striptease dove transitano un considerevole numero di persone a cui non sembra giusto che sia Dio a decidere del loro aspetto fisico.

Studentessa promettente in chirurgia, Mary deve sanare il suo disastroso bilancio e tenta un colloquio in questo dubbio locale come lap dancers, ma il proprietario, dedito alla tortura e all’estorsione scopre subito le sue potenzialità nel ricucire e tagliare la carne delle vittime dei suoi “interrogatori”. Da lì a poco Mary verrà contattata dall’assurda Beatress, una sosia di Betty Boop a cui la chirurgia plastica ha dato contorni grotteschi: le serve un chirurgo che tolga quegli ultimi elementi femminili alla sua amica Ruby Realgirl che ambisce a diventare a tutti gli effetti una bambola di carne attraverso l’asportazione dei capezzoli e la chiusura semitotale del pube (una sorta di Barbie in carne umana). Invitata ad una festa di chirurghi Mary viene drogata e violentata dal suo professore, un gesto vigliacco che scatenerà in lei una vendetta senza precedenti.

Le sorelle Soska riprendono il tema della nuova carne portato avanti da David Cronenberg a partire dagli anni settanta, e lo sposta nel circuito degli appassionati di impianti sottocutanei, piercing e roba del genere. Mary diventa una poetessa della manipolazione fisica di chi vuole cambiare, di chi vuole mutare la propria forma con sembianze spesso simili a quelle del diavolo (o Dio?). Mary diventa anche un angelo vendicatore implacabile, oscillando tra una lucida pazzia e un normale sadismo omicida eppur capace di sentimenti d’amore (ma la storia d’amore con il proprietario del locale rimane solo accennata). Lo stile cinematografico, non esente da qualche imperfezione dettata probabilmente dall’inesperienza, è asciutto e scorrevole, l’attrice Katharine Isabelle è perfetta nella sua duplice interpretazione di crudele dominatrice e sensuale innocente, difficile dimenticarsi del suo volto e del suo sguardo a fine visione. Inutile dire che il sangue scorre a fiotti ed alcune scene rasentano l’insostenibile, ma la pellicola è quanto più distante si possa trovare dal Torture porn, nulla di quanto si vede appare gratuito, tutto è perfettamente inserito in una storia drammatica e crudele alla quale è difficile non appassionarsi.

Affine per certi versi a Excision, American Mary si presta a diventare un piccolo capolavoro del nuovo cinema horror al femminile, che tra non molto inonderà di sangue e Mascara le sale di tutto il mondo.

(Dottor Satana http://www.splattercontainer.com/)


¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
HELLDRIVER

E tre anni dopo ci troviamo a guardare il nuovo film del regista di Tokyo Gore Police, quello che era stato un po’ il via o comunque facente parte della prima onda d’urto del (sotto)genere denominato poi ufficialmente Sushi Typhoon. Nel frattempo molta acqua è passata sotto ai ponti di questa remunerativa costola della Nikkatsu nata in maniera furba come aggiornamento del già esistente, ma bagnato da un’aura di esotismo spalmata a modo, giusto per allettare un pubblico prevalentemente nord americano.

E paradossalmente tanto ha fatto, visto che il filone si sta gonfiando, invaso dai molti cloni prodotti dalla concorrenza che stanno seguendo regole e modi dettati dai “pionieri” arrivando ad inquinare con le loro impronte anche impensabili prodotti pensati per la tv (The Ancient Dogoo Girl, Hara Peko Yamagami Kun). La marca caratteriale e continua del tutto? Gli effetti speciali particolarmente “autoriali” e pop; Nishimura Yoshihiro, infatti, nasce come effettista ma negli ultimi anni ha ampliato la propria azienda circondandosi di collaboratori e alleggerendosi la parte operativa dedicando più tempo a quella artistica e alla regia.

Helldriver è un successo, non fosse altro per il progresso macroscopico rispetto al precedente film e per la grande inventiva, ritmo e qualità che spesso sono del tutto assenti nei film prodotti all’interno di questa sorta di franchise. Il regista raddrizza il tiro, spinge di più sulla narrazione, e forte di un budget vistosamente maggiore regala un florilegio continuo, finanche eccessivo (ed è giusto che sia cosi), di invenzioni e trovate dove l’effetto è sempre la fonte primaria del meraviglioso.

Alla fine si storce il naso giusto per delle citazioni puerili e urlate di qualche successo hollywoodiano, ma fortunatamente sono soverchiate spesso da altre finezze tra cui vale la pena citare la co-protagonista Eihi Shiina che autocita sé stessa nel ruolo di Asami Yamazaki del bel Audition di Miike Takashi.
Il regista ha impatto, idee precise e un buon universo in testa anche se manca totalmente di senso del grandeur, di pathos e emotività, elementi che sorgono davvero di rado facendo però -di nuovo- avvertire una piacevole evoluzione nel proprio mestiere.
Un po’ di satira socio-politica e due sequenze esageratamente irripetibili sono le ciliegine sulla torta di questo delirio splatter pop che galoppa per due ora senza mai annoiare spingendosi ad occupare per intero tutti i titoli di coda e regalando il classico doppio finale, facendo in parte dimenticare le classiche cadute di stile e di mestiere; personaggi inutili che durano una manciata di minuti, lungaggini ripetitive e le classiche debolezze di Nishimura, grezzo, rozzo, a tratti tecnicamente analfabeta ma che con questi prodotti tutto sommato solari e di puro intrattenimento riesce ad evocare titoli concettualmente simili del passato e nomi di registi come Suzuki Noribumi, uniti alle follie del giovane Ching Siu-tung (senza ovviamente possederne lo stile).

Un film più scritto “quindi”, pregiato da quei giochi di sceneggiatura che sono solitamente assenti negli altri film uscenti dalla fucina della Nikkatsu/Sushi Typhoon ed eccessivo in tutto inclusi i titoli di testa che esplodono a metà metraggio e subito dopo un anomala scena tali da far ipotizzare un fine film, salvo poi smentirlo con una seconda parte ancora più delirante.

Una ragazza è continuamente vessata da sua madre, fin quando nel climax dell’ennesimo abuso una meteora colpisce la donna, giusto il tempo di permetterle di strappare il cuore alla figlia per poi pietrificarsi. La meteora ha anche il “merito” di trasformare la popolazione in una sorta di esercito di zombie alieni e il Giappone viene cosi diviso a metà da un muro al nord del quale risiedono tutti i contaminati. Scienziati del governo giapponese incastonano nel torace della ragazzina un nuovo cuore a motore collegato ad una katana dalla lama a catena (come una sega elettrica) al fine di inviarla nella zona a rischio; suo obiettivo primario, la ricerca della madre e il lancio di un segnalatore per fare in modo che i militari possano sganciare su di lei con maggiore precisione dei missili e annientarne la minaccia una volta per tutte. Ma l’obiettivo della ragazza è principalmente il riscatto, la vendetta e la ricerca di una sua felicità negata. Nel frattempo la madre risvegliatasi è divenuta il peggiore dei problemi che un paese possa avere, una creatura mutante capace di ergere, tra le altre cose, colossi monumentali composti di corpi (come nel bel racconto di Clive Barker In Collina, le Città). Gran tourbillon di comparse note (tra cui Takashi -Ju-On- Shimizu), buona colonna sonora e una confermata speranza per i prossimi lavori della Sushi Typhoon.

(Senesi Michele Man chi http://www.asianfeast.org/)


[27 ott.] BARFLY // NAKED

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 27 OTTOBRE

Ore 18:30

BARFLY

(Barbet Schroeder, Usa, 1987)

***
Ore 21:00

NAKED

(Mike Leigh, UK, 1993)


PROIEZIONI GRATUITE

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯

1n_Mystic_Perga copia_Julia_Boysen_Sloppy1

BARFLY

Un quadro di degradazione umana esce da Barfly; nessun ricorso alla caduta dei valori, alcun riferimento alla cattiveria delle persona, solo il dipinto di persone ai margini che scelgono un po’ per istinto un po’ per necessità e povertà di intenti, di restare lontano dalla vita produttiva e che conta. “Mosconi da bar”, appiccicaticci ascari che si annidano su una lercia sedia nella penombra di un pub le cui persiane rimangono chiuse alle 3 di pomeriggio; bicchiere in mano, sguardo spento, discorsi che languono e si abortiscono ancora prima di essere formulati con compiutezza, parole che vorrebbero sortire da gole ingrossate dagli alcolici ma che si soffocano da sole strozzate dall’ennesima pinta….
(Macina)


¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
NAKED

Inizia con quello che assomiglia ad uno stupro in una stradina mezza buia di Manchester: tanto per invitarci subito a non simpatizzare con quel genere di protagonista.
Dovremmo odiarlo questo Johnny dalla faccia d’angelo, ma di quelli sterminatori: il solito marginale. E nel film, la solita galleria di personaggi nella vertigine della civilizzazione.
E invece no: finiremo per adorarlo questo Johnny.

Già lo vediamo con un altro occhio, ora che sbarca a Londra: nell’appartamento incasinato di una sua ex-ragazza che ci coabita con l’amica; una specie di uccello notturno costretto a svegliarsi alla luce di mezzogiorno.
Sarà per la fragilità smunta delle due, o per una specie di detestabile yuppie che, parcheggiata la Porsche sotto casa, installa sé stesso e la propria legge ruffiana nei letti di casa. E sarà per quel modo tutto suo, che ha Mike Leigh di raccontare: con un pizzico di compassione, di tenerezza che affiora dalla paura per quegli abissi che si spalancano poco distanti; e, cosa più rara, un umorismo feroce. Strappato a viva forza da un contesto che ci invita a ben altre riflessioni.

È questo il tono di Mike Leigh, ciò che rende il suo film indimenticabile: la crudezza, la volontà di affondare nella miseria, di far sputare sangue e bestemmie ai suoi poveracci, ma di non perdere mai di vista la relatività di queste vicende terrene. Ben oltre la loro disperazione: quando raggiungono le spiagge, ancora più significative, della loro assurdità.

Nell’universo crepuscolare che Johnny continua ad esplorare, le sue osservazioni sono come sprazzi di vita: ci strappano la risata, ma al tempo stesso temiamo che queste situazioni degenerino. Perchè Johnny finirà ovviamente calpestato sull’asfalto, ma citando Shakespeare, e invocando l’Apocalisse, spiegando Omero ed Hitchcock ad un guardiano notturno; uno dei tanti personaggi dalla solitudine lunare. Mentre ad una delle sue belle racconta, che il Discobolo che fa da soprammobile, assomiglia al fattorino che consegna le pizze a domicilio.
Tutto organizzato attorno alla noncurante disperazione del suo protagonista, “Naked” nasce da un’esigenza assoluta di far cinema, di sprofondare l’occhio della cinepresa dove gli altri si fermano alle formule.

Così Johnny, smunto ancora per le botte prese, a malapena risistemato dalla cure dei suoi coraggiosi angeli custodi, dopo aver bevuto e pianto mormorando le canzoni dell’infanzia agrodolce di Manchester, cosa volete che faccia se non continuare a “derivare”?

E lo vediamo allontanarsi zoppicando lungo la riga bianca sull’asfalto, come un uccello fatto a pezzi che tentare ancora di svolazzare. Come il nostro tempo: ad altezza d’uomo. Ad aspirazione cosmica.

Premio alla regia e all’interpretazione maschile a Cannes.

(Andrea Olivieri )

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯


6/Ott. VISITOR Q // ICHI THE KILLER

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 6 OTTOBRE 2013

Ore 18:30
VISITOR Q
(ビジターQ di Takashi Miike, 2001)
VO sott.Italiano

Ore 21:00
ICHI THE KILLER
(殺し屋1 di Takashi Miike, 2001)

PROIEZIONI GRATUITE

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯

1n_Mystic_Perga

VISITOR Q

Faresti sesso con un genitore? Picchieresti tua madre?Sono alcune delle domande che fanno nei centri psichiatrici vecchia maniera, per capire il tuo grado di pazzia. Quiz: rispondere con una crocetta sul sì o sul no.Miike comincia il film dando realtà fisica a queste domande, illustrandoci una situazione familiare allucinante in cui i rapporti tra gli individui ed i canonici valori sono completamente ribaltati…La figlia maggiore ma ancora studente vive fuori di casa e si prostituisce per mantenersi. Tra i clienti avrà il padre, complessato eiaculatore precoce, che fa il reporter per la tv e sta conducendo un indagine sul fenomeno del bullismo giovanile con dubbi risultati. Verrà preso a sassate in testa da un personaggio indefinibile, un giovane, che porterà a casa sua. Il figlio è il despota della madre, la riempie di frustate con dei battipanni senza alcuna ragione, la picchia e basta. La donna è tossicodipendente all’insaputa di tutti e si prostituisce solo per pagarsi la droga. Il figlio è quotidianamente vittima del bullismo di compagni di classe che si spinge fino a casa sua, dove gli sparano contro petardi e fumogeni…Insomma, una situazione davvero pazzesca, nella quale il “visitor” s’inserisce come figura comprensiva e tollerante, si relaziona con affetto con tutti tranne con la figlia assente, che incontrerà solo nel finale.Poco dopo il suo arrivo tutti i soggetti della famiglia cominciano a “ribellarsi” alla loro condizione, e allora se la situazione precedente era definibile pazzesca, per quella che segue non ci sono aggettivi.Il finale sarà un curioso ritorno al nettare materno, un arretramento collettivo all’infanzia, un punto da cui ripartire.Trama ermetica, enigmatica. Se qualcosa non “dovrebbe” accadere puoi star certo che accadrà.Horror psicologico, amorale, senza sangue ma molto più orticante di uno splatter, con persino alcune scene di irresistibile comicità.Miike è un grande, ma forse non è per tutti. (http://robydickfilms.blogspot.it)


¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
ICHI THE KILLER
Come limite estremo Ia violenza, e non più il sesso, è l’ultima frontiera – e Takashi Miike lo sa. Regista fuori dagli schemi con uno stile personalissimo, dotato di ambizione, talento ed energia spropositati, Miike ha alzato rapidamente la posta della violenza fino a livelli che sembrano, a seconda dei punti di vista, ripugnanti, terribili o assurdi. Malgrado le connotazioni di feticismo presenti nell’opera di Miike – ha per il piercing la stessa ossessione che Hitchcock aveva per le bionde algide – c’è in lui un lato comico, addirittura umanistico.

Il suo ultimo oltraggio al pudore è Ichi the Killer, un thriller gangsteristico basato sul fumetto cult di Hideo Yamamoto. Un inetto si trasforma in un’implacabile macchina da guerra ma alimenta il fuoco della rabbia con lacrime di ricordi delle sue umiliazioni adolescenziali. Pur richiamando alla memoria Crying Freeman, un famoso manga su un killer piangente, Ichi the Killer aggiunge un effetto nuovo e perverso: l’eroe gode ogni volta che uccide. La storia inizia con un tipico luogo comune dei film di gangster: il capo di Anjo-gumi e la sua giovane amante vengono uccisi; i superstiti, guidati dall’impetuoso vice di Anjo, Kakihara, sciamano rabbiosi per tutta Shinjuku, assetati di vendetta. Kakihara dà la caccia al killer del suo capo con una calma inquietante, punteggiata da esplosioni di crudeltà diabolicamente originali. Mentre il numero dei cadaveri aumenta, si avvicina il momento della resa dei conti: Ichi contro Kakihara. Chi perde, a quel che sembra, non andrà a fare compagnia ai pesci, ma finirà ridotto in poltiglia dentro un sanguinoso action painting. Shinya Tsukamoto e Sabu, entrambi acclamati registi indipendenti per conto loro, sono convincenti nei rispettivi ruoli, e aggiungono ai loro modelli manga una terza dimensione, quella umana.

Ma è Tadanobu Asano, nei panni di Kakihara, il centro malefico e sogghignante di questo film estremo. Abituato a calarsi nei panni di tipi tranquilli che ribolliscono di un fuoco interiore, Asano interpreta il boss dai capelli color fuoco con una giovialità psicopatica agghiacciante.

Mark Schilling (http://www.fareastfilm.com)

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯


Video

29 Set. REPULSIONE // L’INQUILINO DEL TERZO PIANO

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 29 SETTEMBRE

Ore 18:30
REPULSIONE

(Repulsion, Roman Polanski, 1965)

Ore 21:00
L’INQUILINO DEL TERZO PIANO

(Le locataire, Roman Polanski, 1976)

PROIEZIONI GRATUITE

¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

1209101_605585446151196_667685664_n_Antonio_Rainbow_Perga

REPULSIONE

Estraniante e febbrile discesa lungo le strettoie della mente umana, nei labirinti della follia dove è arduo districarsi. Se si intraprende questo lungo e oscuro sentiero, la normale quotidianità trasfigura in un allucinato susseguirsi di movenze, pruriti, paure attraverso i quali incedere a passo informe e irreversibile. Roman Polanski filma una centrifuga di repulsioni e repressioni, ossessioni disturbanti e indicibili deliri notturni all’interno di un luogo di isolamento, un appartamento dalle pareti crepate lungo i cui solchi defluiscono sudori di pallida angoscia.

Carole (Catherine Deneuve) è una giovane e affascinante manicure di un centro estetico molto frequentato. A causa di alcuni disturbi della personalità, la sua bellezza rappresenta soltanto l’ultimo elemento di una vita vissuta in disparte: la giovane, infatti, soffre di una incomprensibile repulsione verso gli uomini che la spinge a isolarsi evitando le ingerenti avances di coloro che le ronzano intorno. In particolar modo sviluppa un crescente rigetto nei confronti dell’amante (sposato) della disinibita ed emancipata sorella Helen. Quando quest’ultima decide di partire per una decina di giorni con il concubino, la fragile sorella la supplica invano di non abbandonarla. Sola, in preda a psicosi domestiche irrefrenabili, Carole scivola lentamente in un delirio crescente di incubi inconfessabili che avanzano con andatura sinistra tra le pareti di casa.

Quando né le mura domestiche, né i confini della mente, si ergono a protezione delle nostre più profonde paure, anche il mondo che vive al di fuori diventa un inferno in terra. E se le ossessioni non sono altro che il rovescio della medaglia di subconscie frustrazioni e repressioni, allora il luogo nel quale si manifestano (e le manifestazioni stesse), per un gioco di repulsione/attrazione rappresenta l’unico (terrificante) posto vivibile. Polanski scava nei perversi condotti della psiche umana, e conferisce un’opprimente carica simbolica ad ogni elemento visivo che possa condurre lo spettatore a “cronometrare” (con il ticchettio assordante delle lancette o le campane di una chiesa) la discesa nella follia. La cena organizzata con la sorella Helen e il suo amante, dissertata dai due che preferiscono all’ultimo minuto il ristorante, è l’abbrivio dello sprofondamento di Carole in un graduale stato letargico che avanza inesorabilmente, come procede la putrefazione della carne (del coniglio esposto in salone) o i germogli dei tuberi abbandonati in cucina, residui stantii di quella cena negata. Nonostante il regista polacco non indaghi le cause (intuibili ma mai rivelate) di tale distacco dalla realtà, l’agghiacciante deliquio della sua protagonista è netto, e lascia crepe ovunque. Assoluto capolavoro di tensione visiva e psicologica (la sequenza della porta dietro l’armadio è da brivido), supportato da uno straordinario bianco e nero nel quale le ombre cerebrali diventano asfissiante tripudio di visionarietà.

(Giuseppe Salvo http://www.silenzio-in-sala.com/)


¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯

L’INQUILINO DEL TERZO PIANO

Un uomo di origini polacche, Trelkovski, affitta un appartamento dopo una curiosa trattativa col proprietario che lo inonda di divieti. L’inquilina attuale, Simon Chule, è in fin di vita all’ospedale dopo essersi gettata dalla finestra. Incuriosito la va a trovare in ospedale, restandone particolarmente colpito. La ragazza morirà e Trelkovski prenderà possesso della casa, solo che dovrà rendersi conto che più che un condominio è una specie di Regno. Tra i condomini vige un regime, dominato dal locatore dispotico, la portinaia pretoriana ed altri: o stai con loro o sei contro. Una situazione di vita angosciante, anche perché i condomini manifestano altri comportamenti bizzarri…

La cosa lentamente produce nel brav’uomo una condizione di persecuzione che diventa sindrome, comincia ad immaginare anche situazioni non reali, percepisce da parte dei condomini e persino da persone esterne il progetto di ucciderlo o meglio di portarlo al suicidio, proprio come Simon ha fatto prima di lui. All’inizio la situazione è persino relativamente comica, poi il film cresce, fino alla fine, in continua angoscia. E non c’è soluzione.

Film misterioso e per questo affascinante, sia per quanto accade che per un finale che “accerchia” la trama. Tante le domande e le possibili interpretazioni: è tutto immaginato o Trelkovski ha realmente vissuto quelle esperienze? cosa rappresentano i geroglifici egizi che trova nel bagno comune? che senso hanno i denti nel muro? MA la domanda irrisolvibile è: quanto della perfidia dei vicini è reale o immaginata?
Non ho risposte proponibili.
Cito solo un curioso momento in cui il protagonista, parlando di fatti di cronaca riguardo a mutilazioni, si chiede se ogni singola parte del corpo contiene il nome della persona che la possedeva o meno, davvero interessante e qua il discorso può sconfinare nel religioso. Fatto sta che un braccio non ha diritto a sepoltura se non quando viene tumulato insieme a tutto il resto del corpo. Mi ha fatto ridere parecchio!

Scritto, diretto e interpretato da protagonista dallo stesso Roman Polanski, BRAVISSIMO in tutti i ruoli, tratto dal romanzo “Le locataire chimérique” di Roland Topor. Non capisco con che logica un polacco naturalizzato francese diventi nel doppiaggio un francese naturalizzato italiano, a riguardo dell’accento, ma devo dire che la cosa rende benissimo, soprattutto nel tono di voce dimesso.
Ho letto che è stato fatto uso, tra i primi film in assoluto a farlo, della Louma. Alcune riprese hanno effettivamente angolazioni da vertigine, in particolare quelle all’interno del cortile sono notevolissime.

IMPERDIBILE! Non stancherebbe se visto più volte.

(http://robydickfilms.blogspot.it/)


¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯¯


Kim Ki-duk – domenica 18 agosto

SULLA RIVA DEL LAGO DI COMABBIO
Domencia 18 Agosto


ORE 21:00

BAD GUY

(Nappŭn namja di Kim Ki-duk, S. Korea, 2002)

***


ORE 23:00

L’ISOLA

(Seom di Kim Ki-duk, S. Korea, 2000) FREE ENTRY

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso LA SAUNA recording studio
Via dei Martiri n.2 -Varano Borghi (VA)
https://www.facebook.com/pages/La-Sauna-recording-studio/68777161401

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

Senza titolo-1

BAD GUY
Un giorno Han-ki, boss della malvita del quartiere a luci rosse, incontra per caso per la strada una studentessa delle scuole superiori di nome Dun-hwa. Han-ki ne è immediatamente attratto e tenta un approccio, ma la ragazza gli da un’occhiata disgustata e tenta di andarsene, se non fosse che il gangster la aggedisce e costringe la ragazza a baciarlo. Han-ki progetta di avviare la ragazza alla prostituzione: dopo averla fatta prigioniera in una stanza, Han-ki trascorre le sue notti a spiare, da una finestra nascosta, la sua vittima.

Kim Ki-duk mette in scena diversi piani di realtà, mescolando il ricordo con il sogno, il desiderio con la realtà. Poco importa allora ricostruire il filo del racconto, che vede Han-gi, “bad guy” silenzioso e poco socievole, tessere intorno a Sun-hwa una tela che la porterà a prostituirsi sotto i suoi occhi. Perchè in “Bad Guy” non hanno importanza le ragioni psicologiche dei personaggi o la coerenza degli avvenimenti che, in quanto tali, semplicemente accadono.
La macchina da presa di Kim Ki-duk filma senza apparentemente sforzarsi di dare un senso a ciò che riprende, come se esistesse una ragione profonda di tutto ciò che accade, una ragione che lo spettatore può cogliere solo su un piano diverso da quello della razionalità. Ecco che allora anche i personaggi non hanno motivazioni psicologiche esplicite, ma agiscono dei comportamenti, compiono delle azioni che trovano spiegazioni solo nel fatto di essere compiute.

E’ innegabile che cinema di Kim Ki-duk getti il suo spettatore in un profondo “disagio”: accadde con “L’isola”, accade con “Bad Guy”. La messa in scena di una realtà incomprensibile, introduce nel racconto elementi di instabilità non facilmente digeribili; e anche i personaggi di “Bad Guy”, come d’altronde quelli dei film precedenti, disperatamente fragili e violenti come sono, risultano inclassificabili nelle categorie tradizionali di bene e male, di bello e brutto: mettono in discussione i limiti di classe e di genere, i concetti di normalità e anormalità, ordine e disordine, così come il modo di raccontare di Kim conduce a una poco rassicurante perdita delle coordinate e dei punti di riferimento.

E come se non bastasse questo smarrimento, questo disagio, il cinema di Kim Ki-duk chiede al suo spettatore di fare i conti con personaggi crudeli, di una crudeltà niente affatto spettacolare ne compiaciuta, e forse per questo tanto più difficile da sopportare. La crudeltà del suo cinema è prima di tutto lo specchio di un’aspirazione a trovare un senso alla crudeltà di ciò che gli/ci sta intorno. “Bad Guy” è perciò innanzitutto è un grido disperato, e al tempo stesso un tentativo titanico di trasformare la difficoltà in possibilità, l’angoscia in pacificazione, la crudeltà in amore.

Quello del regista coreano è il cinema dei contrasti: duro e dolcissimo, lucido e folle, narrativo e a-narrativo, drammatico ed ironico, di pancia e di cuore insieme.

(Andrea Olivieri http://www.cinemadelsilenzio.it/)

L’ISOLA

Hee-Jin di giorno vende cibo e di notte il suo corpo. Un giorno sull’isola arriva un ex-poliziotto, Hyn-Shik che ha ucciso la sua fidanzata che gli era infedele. Tormentato dai rimorsi tenta di uccidersi ma Hee-Jin prima lo salvo poi lo seduce. Per Hyun-Shik fare sesso con lei diventa una sorta di droga per lenire la sofferenza del corpo e dell’anima.

I dialoghi ridotti all’essenziale sembrano trasmettere l’idea della vacuità della parola, di contro l’immagine estetica viene portata alle estreme conseguenze, si condensa e subito dopo si fa evanescente; è immagine e metafora, e solo le scene più drammatiche e violente sembrano ricondurci alla realtà.

“L’isola” è un film enigmatico, duro come la faccia chiusa a pugno del protagonista che quasi senza mai parlare e con un limitato repertorio di espressioni dà vita ad un interpretazione di rara intensità.

Un film nuovo, se non nello stile, almeno nell’universo e nell’immaginario che il giovane regista Kim Ki-duk (anche autore delle scenografie) riesce a ricreare. Un mondo unico e totalizzante, quello che viene mostrato, in cui la sopravvivenza, i bisogni umani e, soprattutto, l’amore tra un uomo e una donna, si riducono ad uno stadio embrionale e primitivo. Una metafora amara della solitudine dell’uomo contemporaneo al quale sembrano non bastare i mezzi di comunicazione per esprimere quel desiderio di amore che risulta, in ultimo, essere forse un disperato tentativo di rifugio.

Se la narrazione a un certo punto si fa un pò confusa, la forza delle immagini è più eloquente che mai, giocata tutta sul confine labile tra la morte (il fondo dell’acqua), e un vivere che è più un sopravvivere, un galleggiare (la superficie). E quelle inquadrature poste proprio là, con una trovata efficace, a metà dei due mondi, sembrano metterci in guardia e in attesa di un possibile galleggiamento o di un più probabile sprofondamento.

La fine, non solo quella della finzione cinematografica, giunge attesa e invocata per ritrovare un senso, un appiglio… in realtà è la distruzione stessa delle nostre certezze.

(Andrea Olivieri http://www.cinemadelsilenzio.it/)


11 Agosto : Quando Peter Jackson non faceva cagare!

DOMENICA UNCUT- 11 AGOSTO 2013

PROIEZIONI ALL’APERTO
SULLA RIVA DEL LAGO DI COMABBIO

ORE 21:00

BAD TASTE

(Peter Jackson, NZ, 1987)

***

ORE 23:00

BRAINDEAD

(Peter Jackson, NZ, 1992)


FREE ENTRY

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso LA SAUNA recording studio
Via dei Martiri n.2 -Varano Borghi (VA)
https://www.facebook.com/pages/La-Sauna-recording-studio/68777161401

222_Subtle_Crack

BAD TASTE

Scatenato splatter del regista neozelandese Peter Jackson che travolge per la quantita’ immane di effettacci e battutacce demenziali.La storia:una piccola & pacifica cittadina e’ vittima di un invasione aliena. Lo scopo dei cattivoni e’ quello di trovare tanta carne per aprire una catena di fast-food intergalattici a base di hamburger umani! Un gruppo di sgangheratissimi cacciatori di alieni dovranno porre rimedio alla delirante catastrofe. Teste che eslpodono, gente che entra ed esce dagli alieni con motosega alla mano,vomiti e sbudellamenti a iosa per un film divertentissimo ed insospettabilmente ben diretto(visto anche il non-esistente budget!). Davvero spassoso e con una certa critica di sottofondo al meccanismo consumistico delle gigantesche catene di fast-food americane.

 


BRAINDEAD

Incredibile splatter del regista neozelandese Peter Jackson che si scatena in tutta la sua strabordante ed allucinata immaginazione. La storia narra di un ratto mostruoso che è il frutto di un accoppiamento fra una scimmia ed un topo e che con il suo morso è in gardo di trasmettere il morbo dello zombismo. Lo schifoso essere in questione morde una donna contaminandola e lasciando cosi’ al figlio di lei l’oneroso compito di nasconderla e frenare i suoi istinti cannibaleschi. Il ragazzo è sempre stato succube della personalita’ possessiva della donna e passera’ dei giorni da incubo a fianco della mamma-zombi che mordendo a destra e a manca diffondera’ ancor piu’ il disastroso morbo. Un film incredibile. E’ questo l’unico commento che si puo’ fare per questa pellicola carica di uno splatter esagerato e goliardico come nel tipico stile del regista. Demenzialità a go-go e scene raccapriccianti che si protraggono fino all’assurdo finale in cui il ragazzo, con tanto di falciatrice a motore in mano, farà a pezzi un’orda di affamati morti viventi.Geniale,scatenato e tecnicamente sorprendente “Splatters..” riprende alcune idee del precedente “Bad Taste” amplificandole e migliorandole grazie ad un budget nettamente superiore e grazie anche ad una sceneggiatura brillante e follemente intelligente. Un esempio: nella scena finale del film la madre ,che è diventata uno zombi di dimensioni gigantesche, dopo essere stata sventrata a colpi di motosega, ha un’ultima reazione disperata..apre il suo ventre squarciato come se fosse un utero gigantesco e tenta di abbracciare il figlio come se lo volesse fagocitare e riportare nel grembo materno. Una metafora di affetto possessivo materno resa nella maniera più cruda e folle possibile. Grande!

VOTO: 9

http://www.alexvisani.com/


Ultimo appuntamento della stagione!

DOMENICA UNCUT

– LA FINE –

DOMENICA 9 GIUGNO

Ore 18:30

CASOTTO

di Sergio Citti, 1977.

***

Ore 21:00

BRUTTI, SPORCHI E CATTIVI

di Ettore Scola, 1976.

 

PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

CASOTTO 67 casotto citti  proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub
“Quel casotto chiamato umanità…”

Il Casotto che dà il titolo al film, altro non è che una cabina da spiaggia in cui varia umanità, tra cambi d’abito, pic nic, tresche, pennichelle e chiacchierate, si troverà a trascorrere parte di una giornata estiva. Ma il Casotto di Sergio Citti è anche un mondo, o meglio, una miniatura del nostro mondo che, attraverso personaggi atipici e divagazioni oniriche, ci mostra il malessere e l’ironia un po’ sfottente della vita reale.

Così, tra le quattro mura di legno nelle quali si ambienta quasi per intero il film, faremo la conoscenza di veri e propri tipi da spiaggia: un allenatore panzuto e vagamente dispotico con squadra di nuotatrici al seguito, un prete con una ‘‘strana’ malformazione al pene, due squattrinati benzinai romani freschi di rimorchio, una coppia di parrucchieri che vorrebbe usare il casotto per abbandonarsi all’atto sessuale, due militari culturisti gay, una famigliola scombiccherata e tanti altri.

Le varie storie che si intrecciano nel casotto a volte hanno un inizio, uno svolgimento e una fine; altre volte solo un inizio, o solo uno svolgimento; altre volte ancora sono delle semplici cornici tra un racconto e l’altro. Inoltre, in casi sporadici, assistiamo a storie che danno origine ad altre storie (come quella di Gigi e del suo sogno). Uno dei punti di forza di Casotto è, infatti, proprio la sua struttura: inimitabile poiché puramente istintiva, non curante delle regole e, quindi, magnificamente ‘‘ignorante’. Ma non dimentichiamo i meriti di un cast follemente assemblato, straniante quanto lo stesso film, capace di dare anima e corpo ad un’umanità popolaresca, a volte ingenua ma mai intellegibile fino in fondo. Poi, per carità, ci sarà pure qualche concessione di troppo alla ‘‘barzelletta’, ma contribuisce a rendere il piatto unico e ricco. Anche in questo, l’istinto domina. D’altronde, non è forse l’istinto a distinguere un artista da un mestierante? Tanto di cappello a Sergio Citti.

(Daniele ‘Danno’ Silipo http://www.bizzarrocinema.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

BRUTTI, SPORCHI E CATTIVI 66 buoni sporchi cattivi ettore scola proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub
“I parenti non si scelgono”

Giacinto vive in una baraccopoli alla periferia di Roma, conserva gelosamente un bel gruzzolo difendendolo dalla numerosa famiglia che vive insieme a lui in una catapecchia.

Ettore Scola è un grande regista che in questo caso supera se stesso con un film durissimo, penetrante e tagliente come un rasoio. La bruttezza dei personaggi è pari all’aspetto estetico del luogo in cui sono costretti a sopravvivere. Non hanno principi morali, sono attaccatissimi ai beni materiali e trascorrono la vita a odiarsi a vicenda.

Impietosa l’immagine di un’altra Roma, molto diversa da quella a cui ci ha abituati un certo tipo di cinema molto più glamour. Non si può parlare esattamente di neorealismo in quanto siamo fuori periodo storico e in ogni caso ampi spazi vengono lasciati anche ad una certa vena caricaturale che allontana la vicenda dalla realtà più vera.

Grandissimo Nino Manfredi, praticamente irriconoscibile. Una prova monumentale che difficilmente potrebbe essere replicata da attori del nostro tempo. Non da meno i suoi comprimari per la maggior parte esordienti assoluti.

La speranza in questo film non è contemplata. Persino il finale con la ragazzina non ancora adolescente rimasta incinta (di qualche zio o parente) è un pugno nello stomaco che sembra voler dare la dimensione della ciclicità ad una vicenda e ad una società tristissima.

(http://scoiattoloviaggiante.blogspot.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀


2 Giugno: CLASSE 1984 // HARDWARE

DOMENICA UNCUT

Domenica 2 Giugno

Ore 18:30
CLASSE 1984

di Mark L. Lester, 1982.

***

Ore 21:00
HARDWARE

di Richard Stanley, 1990.

 

PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

CLASSE 1984 64 Classe 1984 proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

Classe 1984 uscì nelle sale creando scandalo per l’eccessiva dose di violenza ma anche per i contenuti antieducativi della storia, fece una fugace apparizione in vhs ma poi scomparve nell’oblio cinematografico facendo totalmente dimenticare di sè al punto che Mark L. Lester, il regista, ne preparò una versione protofantascientifica nel 1990, Class of 1999, in cui i violenti studenti erano dei robot killer. Ma gli studenti veri della scuola dove Perry King è professore di musica che si trasforma in giustiziere omicida ossessionato dallo scontro col teppista minorenne Stegman (uno splendido Timothy Van Patten in pura tenuta pre George Michael) fanno molta più paura e generano mille volte più angoscia di un cyborg; sono veri, sono il prototipo dell’americano arrivista, spacciatore e psicopatico di quegli anni.

Viene da pensare ad un’apologia fascista in cui l’insegnante tenta in tutti i modi di redimere le pecore nere arrivando al sacrificio d’Isacco pur di ottenere giustizia. Anche Roddy McDowall segue le sue orme e non esita a impugnare la pistola pur di insegnare biologia ai suoi studenti, ma con molto meno successo del suo collega che non esita a maciullare i teppisti pur di difendere la moglie Merrie Lynn Ross, pluristuprata, incinta e in pericolo di vita. Tuttavia il grasso del gruppo indossa la svastica sulla maglietta mentre il professore assomiglia ad un ex-hippy che deve affrontare il delirio degli anni 80, uno scontro generazionale che ormai è parte della storia.

Il film diventa quindi un documento importante di una precisa situazione epocale edulcorata dal politically correct e dal buonismo di facciata (nessuno può arrestare i giovani finchè sono minorenni) che hanno rovinato una gioventù altrimenti capace di espimere al massimo la sua creatività artistica (Stegman, il cattivo, è uno splendido pianista allo stesso modo in cui Alex di Arancia Meccanica è un estimatore di Beethoven). Un grande film da riscoprire per sempre con l’aggiunta di una delle prime interpretazioni di Michael J. Fox, in grado di rappresentare la faccia pulita dell’America Reaganiana di allora.

(Dottor Satana http://www.throughtheblackhole.com/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

 

HARDWARE 65  Hardware proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

Ci sono film che nascono sotto stelle ambigue, trascorrono i primi anni dalla loro uscita nel dimenticatoio, e quelli immediatamente successivi alla ricerca di una stabilità critica, rimbalzando impazziti da un’etichetta all’altra: trash o cult ? cult o trash ?
La pellicola di Stanley ne è esempio lampante. Nato dall’incontro tra un giovane regista, cresciuto a bacon, video clip e narrativa cyberpunk con gli ideatori di Shok, storia illustrata da McManus e O’Neill per la rivista 2000 AD, esce nel ’91, viene premiato nello stesso anno ad Avoriaz per i suoi effetti speciali e poi sparisce nel nulla.

Riprenderlo oggi, vuol dire dover fare i conti con la sua essenza a metà strada tra il cinema di maniera e apocalittiche previsioni future, ma il gioco vale la candela. Certo, la trovata iniziale della tecnologia che si rivolta contro i suoi ideatori puzza di muffa più del gorgonzola, ma una volta superato questo primo ostacolo, l’anima dell’opera prima di Stanley si manifesta in tutto il suo spessore. Hardware fotografa quel che resta del pianeta terra dopo una non meglio definita “Grande Guerra”: lande desolate in stile Ken il guerriero, rottami, piogge acide, ruggine e residuati tecnologici. Uno spassionato omaggio al western spaghetti dove tutto è stato convertito in hardware, è non c’è più la minima traccia di software. Ma Hardware va oltre i paesaggi post apocalittici e post umani, perché è presagio delle giocose faide combattute in rete, dove non si può trattare sullo spazio virtuale che si ha a disposizione, e dove ogni azione ha come scopo preciso l’eliminazione del nemico immaginario. La trama, la sceneggiatura, il soggetto stesso diventano pretesto per mettere in scena lo scontro tra due rivali: gli umani (Jill e Mo) contro Mark 13, “macchina della morte” ideata anni or sono dall’esercito, che viene involontariamente rianimata da una scultrice di ferraglia e, pur essendo stato a più riprese distrutto dalla coppia si rianima, risorge e continua a giocare, e lo fa in puro stile video ludico: si fa beffe del game over, perché ha già salvato la partita e può riprendere dal punto in cui era stato sconfitto, ma intanto ha recuperato energie e conosce le mosse dell’avversario.

Stilisticamente, il film di Stanley è un’affascinante concentrato di sovversiva sci–fi : gli esterni desertici e desolati assomigliano a quelli di Dune e Mad Max, mentre gli interni rimandano al caos organizzato di Brazil e Blade Runner; il montaggio convulso e la colonna sonora martellante (Iggy Pop, Motorhead, Ministry e Public Image) creano sequenze stranianti e mai scontate, ma è grazie alla sua sottotraccia simbolica che la pellicola raggiunge il suo dissacrante apogeo. Il nome del robot, Mark 13, rimanda al Vangelo secondo Marco, dove si legge che “la carne non sarà risparmiata”, il protagonista si chiama Mo (forse “Mosè” ?), le doghe profumano di torta alle mele, quel che resta del governo vieta la riproduzione, il cranio del robot si fregia della bandiera americana e quando viene erroneamente ristrutturato si ritrova con tanto di fallo perforante.
Non solo, Mark 13, è il programma definitivo, un tecnologico condensato di cavi, cip e alluminio programmato per estinguere in maniera violenta quel che resta del genere umano, un’invincibile macchina di morte che può essere sconfitta solo dall’acqua, elemento puro ma mai come in questo caso infetto e difficilmente reperibile, lo stesso che può mandare in tilt l’hardware del computer che ci controlla, ci spia, e allo stesso tempo è depositario e custode delle nostre attività e dei nostri segreti.

(Luca Lombardini http://www.positifcinema.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀


19 Maggio : LE ARMONIE DI WERCKMEISTER

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 19 MAGGIO

Ore 20:30

LE ARMONIE DI WERCKMEISTER

di Béla Tarr

(Werckmeister harmoniak, 2000, VO sott. in italiano)

Proiezione Gratuita

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀


LE ARMONIE DI WERCKMEISTER 63 le armonie di werckmeister bela tarrproiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

Girato in soli trentanove piani sequenza, “Le armonie di Werckmeister”, questa storia surreale e quietamente evocativa diretta da Bela Tarr, ci trascina armonicamente in un mondo apocalittico che si impregna della qualità nobilitante del bianco e nero e restituisce allo spettatore una visione corale ed estremamente misurata della conflittualità umana e della sua – purtroppo famosa – declinazione balcanica.

“Le armonie di Werckmeister” si ispira in primis ad un racconto dell’ungherese Laszlo Krasznahorkai: The melancholy of resistance, ma è anche guidato sul piano narrativo e poi sempre più in alto, fino al piano costruttivo e filosofico, dalle teorie del musicista barocco Andreas Werckmeister, che viene ricordato per il suo studio approfondito del sistema armonico accompagnato dalla radicata convinzione che la musica si legasse in maniera indissolubile alla creazione divina e alla sua perfezione.

Tarr costruisce dunque una complessa allegoria: in una città ungherese fredda e disgraziata, minacciata da un accadimento nefasto ed indefinito che poi prenderà la forma di una rivolta popolare, si consuma la semplice quotidianità del protagonista. L’apocalittica condizione prende una svolta inquietante quando un baraccone/circo ambulante si insedia nella piazza cittadina, forte della sua attrazione principale: una gigantesca balena accompagnata da uno strano essere deforme (il principe), che però non ci sarà concesso di vedere.

I piani simbolici si sovrappongono creando un’esperienza cinematografica complessa ma appagante. La balena potrebbe essere la rappresentazione concreta di un grande ideale, morto ma ancora in grado di influenzare la gente. Il principe è quella vocina inconscia che si agita dentro di noi, blasfema, a volte incomprensibile ma incessante: distruggi, conquista, usurpa, comanda.

Il regista ungherese ci propone anche una delle scene più forti e agghiaccianti che mi sia mai capitato di vedere: la distruzione di un ospedale e dei malati in esso ricoverati. La mattanza si consuma nel completo silenzio. Non un urlo, solo i colpi attutiti dei bastoni sui corpi inermi. Un vecchio, nudo e tremante ripreso frontalmente per pochi insostenibili attimi, calma gli animi e disperde gli aggressori.

La potenza rivelatoria dell’immagine, della musica, della metafora perfettamente armonizzate da Tarr in un’opera che ha l’inconsistenza di un’ombra ma la violenza catartica di un pugno, raggiunge livelli elevatissimi e ci lascia, infine, affascinati e confusi, a guardare dentro l’occhio vitreo di una balena pietrificata.

Matteo Ruzza (http://www.pellicolascaduta.it/)


Domenica 12 Maggio : ATTENBERG // CANICOLA

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 12 MAGGIo

Ore 18:30
ATTENBERG

di Athina Rachel Tsangari, Grecia, 2010
(VO sott. italiano)

****
Ore 21:00
CANICOLA (Hundstage)

di Ulrich Seidl, Austria, 2001

 

PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

ATTENBERG 60 attenberg proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

È bastato un film come Dogtooth (2009) a far decollare, letteralmente fino agli Oscar, un ragazzone barbuto di nome Giorgos Lanthimos, e quindi a spalancare il sipario su una scena, quella greca, che dal punto di vista cinematografico negli ultimi 10-15 anni aveva lasciato Angelopoulos (e chi altri?) come unico esponente di rilievo. Così, al fianco del già citato Lanthimos qui nelle vesti di attore e produttore, a Venezia ’10 si è presentata tal Athina Rachel Tsangari, a sua volta produttrice dei film dell’amico Giorgos, che con questo Attenberg attira nuovamente curiosità, e penso anche stima, sul palcoscenico ellenico.

Attenberg è un’opera adibita alla provocazione che scivola volutamente su parodistiche macchie(tte) d’olio (l’incipit con le lezioni di bacio) mostrando indifferenza, noncuranza, nei confronti dello spettatore che si trova di fronte ad una recitazione con prosopopea, enfatizzata in ogni minimo gesto, straparlata (il pingpong lessicale col padre), snaturata (un dialogo che termina nell’imitazione di alcuni animali), decontestualizzata (perché fanno così? È la domanda che si ripropone più e più volte), il tutto porta ad una ridicolizzazione dei personaggi che però non si trasforma mai (MAI!) in comicità scherno o derisione poiché l’atmosfera sebbene ovattata da tali elementi è plumbea, e tale grevità oltre ad essere trasmessa dall’impianto industriale della cittadina (nei fatti Aspra Spitia, luogo natio della regista), è essenzialmente un fattore tecnico poiché la mano della Tsangari si fa algida con i suoi lenti e ammirevoli carrelli che seguono o precedono le due amiche.

Gli ambienti poi spiccano per le loro tonalità chiare lise sorprendentemente dalla ripresa frontale del padre moribondo nel buio della camera. A ciò si aggiungono sequenze che si prendono tempi del tutto propri, come la scena del petting tra l’ingegnere e Marina che si sofferma su strambi dettagli facilmente bypassabili da altri regist(r)i e annesso, pregevole, svelamento di campo, o i siparietti imperscrutabili (forse non troppo) tra le due ragazze che regalano, tra le altre cose, un long-take canterino memorabile (video).

In un paesaggio dipinto in modo quantomeno luna…tico, ecco che si palesa un essere, una forma di vita inerte: Marina, ipocentro post-adolescenziale, che racchiude in sé tutta quella caducità della non-vita: apatia, asessualità, abulia, amoralità, e rinchiusa, per suo volere, in un limbo lontano fatto di documentari televisivi. E vicino al burrone della morte paterna si trova a dover volare per non precipitare anch’essa. Le scapole, in fondo, non sono altro che delle ali mozzate.
Attenberg è qui, in questa scoperta di cosa c’è oltre il proprio mondo, oltre il proprio corpo, è l’imprevedibilità dell’incontro, di camminare senza un’amica affianco, è un percorso, è uscire allo scoperto, emanciparsi, liberarsi, non c’è nessun padre dispotico come in Kynodontas a intrappolare la vita di questa ragazza, la gabbia che la imprigiona se l’è costruita lei. Marina e il suo nido ripreso in un documentario sull’uomo.

Attenberg è crescita, e quelle lacrime trattenute a stento sulla barca da parte della protagonista ci fanno capire che sì, lei è cresciuta, e da quel campo lungo conclusivo può andare via da sola.

(Eraserhead http://pensieriframmentati.blogspot.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

CANICOLA 60 canicola Ulrich Seidl proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub


La selezione del nuovo film di Seidl, Paradise: love per il concorso ufficiale della Mostra del cinema di Venezia, ci permette di recuperare e recensire il suo titolo più famoso, Canicola, vincitore proprio a Venezia nel 2001 del Gran premio della giuria. Un recupero che ci è parso necessario perché, ad undici anni dalla sua uscita resta probabilmente la sua opera più compiuta.

Nei sobborghi periferici di Vienna, agglomerati di villette residenziali tutte uguali, un’umanità variegata vive la propria vita ordinariamente inquietante, ma la canicola estiva rende l’ordinarietà ancor meno sopportabile, ed i personaggi arrancano, si dibattono ad un passo dall’esplosione psicotica. E’ davvero la canicola estiva la responsabile? Oppure qualcos’altro si annida, più in profondità, nella società austriaca contemporanea?

Seidl realizza un film corale, complesso non tanto nella struttura – un susseguirsi di sequenze sui vari personaggi inframmezzate da alcune inquadrature emblematiche, raffinate ed estremamente significative – quanto a causa della mancanza di una sceneggiatura forte che guidi lo spettatore, à la Altman, per intenderci (un elemento unificante è ciò che unisce le storie, qui la canicola, in Short cuts il pesticida lanciato dagli aerei, in Magnolia la pioggia di rane). Questa caratteristica ha fatto parlare di pseudo-documentario, ha sollevato accuse di pretesa anti-cinematograficità. Assurdo. Semplicemente, Seidl non è interessato a guidare lo spettatore servendosi della narratività classica, sceglie piuttosto uno stile che, nel distacco delle camere fisse e dei piani sequenza statici, pretende di mostrare – in tutta la loro spregevolezza – le azioni dei personaggi e soprattutto i loro corpi. Corpi appesantiti dagli anni e dall’eccesso di würstel, salsicce e birra, corpi cosparsi di olio abbronzante nella loro impietosa nudità

Cinico, in questo, Seidl usa il corpo e il basso corporeo come emblema del disgusto che noi, spettatori, dobbiamo provare nei confronti di questa umanità repellente: l’orgia nel locale di scambisti , i corpi di mezza età ammassati gli uni sugli (o dentro) gli altri, sino alla provocazione dell’uomo costretto a cantare l’inno austriaco con una candela accesa nell’ano.

Le scelte cromatiche, la saturazione dei colori, gli accostamenti cromatici esasperano il grottesco, il trash dei corpi flaccidi, decrepiti, obesi: un’esasperazione non dissimile da quella che – in un contesto e con finalità completamente diverse – operava John Waters in film come Grasso è bello o Polyester; medesimo meccanismo, ma finalità opposte: se là era l’esaltazione dell’outsider, della diversità anche fisica e sessuale, qui il corpo-trash appare in tutta la sua carica disgustosa e repellente.

Non meno importanti dei corpi, per lo scopo che Seidl si prefigge, sono i luoghi, o meglio i non-luoghi. Non solo le periferie sterminate, vero e proprio deserto nel quale le uniche oasi, punti di ristoro, sono centri commerciali, benzinai e parcheggi; non a caso in questi spazi si muove l’unico personaggio positivo del film, la ragazza folle ed innocente, sola ad essere davvero consapevole della follia consumistica, che ricorda a chi incontra con domande e osservazioni imbarazzanti: “siete grassi, ti si rizza ancora?”; eppure la incarna, inconsapevolmente, perché ha introiettato – probabilmente dalla televisione – classifiche di ogni cosa (le presentatrici più sexy, i migliori supermercati, le più diffuse cause di morte ecc.) e jingle pubblicitari. Questo è probabilmente ciò che, secondo Seidl, ci si deve aspettare dalla nuova generazione, cresciuta in queste condizioni.

Nelle periferie sterminate ci sono poi le abitazioni, rifugi quasi sempre bianchi, neutri e dotati di ogni comfort. Qui tutti sono a loro modo ossessionati dalla sicurezza, dai sistemi di allarme, dalle persiane elettriche, mentre in realtà pericolosi criminali da contrastare sono ragazzini che sfregiano le auto parcheggiate. Qui conducono le loro esistenze insignificanti, incuranti di ciò che gli accade attorno, tutti in un certo senso atomizzati, isolati, abbandonati, in edifici che sono spesso cantieri perenni. Seidl sceglie quasi sempre una composizione fotografica del quadro dal significato emblematico, spesso il primo fotogramma ha già esaurito la sequenza, in questo primato dell’immagine sul dialogo, sulla sceneggiatura si spengono le accuse di anti-cinematograficità.

Seidl non limita ad accodarsi, realizza invece un’opera provocatoria ma coerente, che porta alle estreme conseguenze la propria critica, con una forza inedita per il suo cinema, una forza che si è dispersa in Import/Export (2007) e che non era tale in Models (1999). Ora ci si attende dalla sua ambiziosa trilogia un trittico della stessa intensità, consapevoli delle difficoltà che un cinema come questo comporta anche per chi lo realizza, rischio soprattutto di fraintendimento e di una ricezione che si limiti alla provocazione superficiale, senza cogliere la violenza critica che tale provocazione nasconde.

(Cristoforo Severone http://www.pubblicopassaggio.it/)

 

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

 


Domenica 5 Maggio : OCCHI SENZA VOLTO // THE FACE OF ANOTHER

DOMENICA UNCUT

Domenica 5 maggio

Ore 18:30
OCCHI SENZA VOLTO (Les yeux sans visage)

di Georges Franju, Francia, 1960.

***
Ore 21:00
THE FACE OF ANOTHER (他人の顔 Tanin no kao)

di Hiroshi Teshigahara,Giappone, 1966.
(VO sott. in italiano)

PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

OCCHI SENZA VOLTO 58 occhi senza volto Les yeux sans visage  proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

Un famoso e apprezzato chirurgo plastico sogna di ridare, con metodi poco consoni, il volto alla giovane figlia, i suoi tentativi non saranno coronati dal successo, e la ragazza non tarderà a vendicarsi del poco ortodosso genitore.

Ci sono pellicole che segnano un vero e proprio spartiacque per un genere cinematografico, precorrendo i tempi e rappresentando un modello da seguire per intere generazioni di cineasti. Occhi senza volto, per quel che vale, costituisce per il gotico europeo quello che King Kong rappresenta per il cinema d’avventura: una pietra miliare, un termine di paragone imprescindibile ed una fonte d’ispirazione fondamentale per chiunque abbia voluto cimentarsi con il genere negli anni successivi.

Quel che rende il film di Franju tanto importante, il motivo della sua consacrazione a “Totem” dell’horror europeo, è la cura quasi maniacale del dettaglio. Al di là del soggetto, già di per sé interessante, curioso ed originale, lo spettatore verrà rapito senza scampo da una fotografia incredibile (probabilmente uno dei B/N più belli della storia del cinema), un contrappunto musicale ambiguo, straniante e ossessivo e una sceneggiatura di ferro, curata da alcune delle menti più brillanti della letteratura Francese di genere del dopoguerra.

Fra richiami più o meno accennati all’espressionismo Tedesco e alle opere di Tourneur, citazioni e colpi di genio, quel che rimane è però l’essenza stessa del film, la domanda che ci porterà fin sulle soglie del finale catartico voluto da Franju, quasi uno studio sull’ambiguità dell’uomo nella sua forma più estrema e pericolosa: dove finisce l’amore di un padre e comincia un macabro gioco fra la vita e la morte?

(Enrico Costantino http://www.bizzarrocinema.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

THE FACE OF ANOTHER 59  THE FACE OF ANOTHER  proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

A causa di un incidente sul lavoro Okuyama rimane irriducibilmente ustionato, costringendolo a portare delle bende su tutto il volto. Alienato e senza più un viso, con l’appoggio del suo psichiatra Hari indossa una maschera realistica all’insaputa di tutti. Dove lo porterà la maschera? Ora che ha un volto può definirsi qualcuno?

In The Face of Another c’è tutta un’analisi profonda sulle implicazioni psicologiche e filosofiche di avere o non avere un volto. Uno spazio di pelle di pochi centimetri sopra il collo è fondamentale all’uomo. Un volto può infatti essere la prova della propria esistenza e identità, uno strumento di comunicazione delle proprie emozioni e di connessione con i propri simili, di mediazione tra la mente dietro di esso e il mondo di fronte. Il film si concentra su come l’incidente che lascia Okuyama (Nakadai Tatsuya) privo d’identità ma per il resto illeso, modifica profondamente i rapporti con tutti i suoi conoscenti. Come si siede in poltrona a casa sua, con la faccia bendata, sua moglie è tesa e nervosa in sua presenza, impossibilitata a scrutargli le espressioni, mentre il suo capo (Okada Eiji) non riesce ad affrontarlo in piedi nel suo ufficio.
In The Face of Another lo spettatore scorre sotto gli occhi la metamorfosi psichica e fisica di Okuyama nonostante il ritmo lento e i lunghi dialoghi. La trasformazione del protagonista è ben visibile nei rapporti con la moglie, lo psichiatra e la sua assistente.

La storia principale è intervallata da quella di Irie, (assente nel romanzo) una giovane e bella ragazza sfigurata per metà del suo viso a causa della bomba atomica (deducibile quando ricorda l’infanzia a Nagasaki). La storia parallela, stavolta è una donna dal volto rovinato, rappresenta senz’altro una narrazione alternativa.

Oltre all’analisi sulla natura dell’identità e del suo riflettersi sulla società, The Face of Another vanta una bellissima regia, con inquadrature insolite e la partecipazione di Takemitsu Tōru alla colonna sonora e Segawa Hiroshi come direttore della fotografia. Memorabili le scene girate all’interno della clinica psichiatrica, in cui i protagonisti si aggirano in spazi divisi tra vetri e pareti riflettenti e cambi di luci. Nakadai Tatsuya che interpreta magistralmente Okuyama è in ottima forma, assistito dall’altrettanto brava Kyō Machiko, in prestito dalla Daiei, nei panni della moglie e dallo psichiatra Hira Mikijirō.

Ingiustamente poco conosciuto dal grande pubblico The Face of Another è un vero pezzo di cinema.

(Picchi http://www.asianworld.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀


[28 Aprile] THE CHILDREN // EDEN LAKE

DOMENICA UNCUT

Domenica 28 APRILE

Ore 18:30

THE CHILDREN

Tom Shankland, 2008.
(VO sott. in italiano)

***
Ore 21:30

EDEN LAKE

James Watkins, 2008.
(VO sott. in italiano)

PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

THE CHILDREN 56 the children proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

Il parto, e ancor più il taglio del cordone ombelicale, segna il distacco materiale di una madre dal proprio figlio, la rottura di un legame talmente viscerale da lasciare una ferita profonda. Una ferita che, seppure rimarginata, continua a sanguinare. Non potrebbe essere diversamente, trattandosi di sangue del proprio sangue, carne della propria carne. Ed è proprio nella carne e nel sangue che Tom Shankland, regista inglese già autore dei corti Bait e Going Down, imprime gli atti del suo cruento dramma familiare.

La tensione cresce lenta, graduale, attraverso l’introduzione di semplici elementi che rompono la quiete iniziale, come una parola detta al momento sbagliato o lo sguardo di sfida lanciato dalla figlia adolescente al proprio genitore. Brevi attimi che incrinano la serenità di una famiglia riunita per le vacanze di Natale, corpi estranei (come il fotogramma che anticipa uno dei momenti più rappresentativi della pellicola, inserito più di una volta tra una sequenza e l’altra), quindi virus. Sembra proprio essere un virus infatti il responsabile dell’improvvisa violenza che i bambini della casa riversano sui propri familiari, sui propri genitori. Un virus che come tale si trasmette da individuo a individuo, colpendo però soltanto i più piccoli, che diventano così nemici dei più grandi.

Da un lato la violenza sottile degli adulti, fatta di verbali frecciatine fra sorelle, di accenni a vecchi rancori, tenuti sempre sotto controllo; dall’altro quella esplicita, spietata, dei bambini. Come una macchia d’olio la malattia dilaga, espandendosi dal centro (la casa), verso l’esterno (il bosco), per poi scavare dal di dentro, destabilizzando e portando alla distruzione ciascun nucleo familiare, facendo rivoltare i mariti contro le mogli, così come fratelli contro sorelle. Cominciata come un’inusuale guerra tra le due fazioni contrapposte di genitori e figli, il conflitto si trasforma, diventando caotico e disordinato, in un continuo scambio di ruoli fra vittima e carnefice, in cui chiunque è colpevole.

Girato in pochissimo spazio, una casa e lo spiazzo antistante (il bosco funziona più come zona di confine, soglia oltre la quale non conviene spingersi), The Children, al di là delle tematiche (la ribellione dei figli contro i genitori) e degli effetti visivi (il sangue che si versa sulla neve) che potrebbero sembrare non troppo originali, procede spedito, capace in più di un’occasione di colpire con un’unica immagine, al culmine della tensione.

(Giovanna Canta http://www.sentieriselvaggi.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

EDEN LAKE 57 eden lake proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

Si sente ancora il bisogno di un’ennesima variazione sul tema “giovani sprovveduti vanno a farsi un weekend bucolico e lì le cose SI FANNO BRUTTE”? Apparentemente sì, se in mezzo ci sono gradite sorprese come questo Eden Lake.

Eden Lake vive di vita propria, riflettendo su un problema di scottante attualità nel Regno Unito, cioè l’emergenza sociale, spesso cavalcata dai media reazionari, di una gioventù lasciata crescere allo sbando e che trova la sua espressione nella sottocultura

Eden Lake, però, fa un passo più in là dando delle personalità – come individui ma soprattutto come gruppo – ai ragazzini-carnefici che perseguitano la coppietta. Dal loro punto di vista, l’aggressione non è immotivata; e Watkins mostra abbastanza del background sociale in cui sono cresciuti da dirci che il male deve pur sempre affondare le proprie radici in un qualche tipo di terreno. Normalmente sbuffo di fronte all’esigenza moderna di giustificare qualsiasi devianza con un po’ di psicologia spicciola (di solito, “ha avuto un’infanzia difficile” la sfanga un po’ per tutto), ma mostrare il vuoto di valori in cui sono cresciuti i ragazzi non toglie nemmeno un grammo di sgradevolezza a ciò che loro (e ancora di più i loro genitori) fanno.

Ci va anche di mezzo la lotta di classe, tema sempreverde del cinema britannico: la jeep di Steve, la sua attrezzatura da campeggio nuova di zecca, lo rendono automaticamente colpevole agli occhi della gang di campagna, che alla sofisticazione dei turisti cittadini oppongono la legge della forza. Il ricatto che Brett (il capo della gang) impone ai suoi amici viene da lui presentato come una prova di mascolinità, un rito di passaggio in cui occorre versare del sangue. L’unica esente è Paige, la sua fidanzatina, che però ha il compito di documentare tutto, in un ruolo passivo-aggressivo; il suo potere sta tutto nel detenere il materiale ricattatorio. Anche perché Paige, per il resto, è indistinguibile dai suoi coetanei maschi, pressoché asessuata.

E quindi, ovviamente, se la forza distruttrice è maschile, abbiamo una final girl. Jenny comincia maestrina alla Julie Andrews, materna e conciliante (è sempre lei a richiamare Steve alla prudenza), e attraverso il film è costretta a una trasformazione brutale. Una discesa nel proprio stesso cuore di tenebra, esplicitata da un’inquadratura che la accomuna al Willard di Apocalypse Now. Mi è venuto in mente anche il francese Vertige, un altro film recente dove la vittima-preda, per sopravvivere, deve attingere alla stessa brutalità ferina del villain, deumanizzandosi almeno temporaneamente. Ma la differenza sta nel fatto che il nemico, in Eden Lake, non è l’”altro”; non è un subumano frutto di generazioni di incesti, né un figlio delle sconosciute, violente (soprattutto per noi europei occidentali) terre dell’Est Europa. I mostri di Eden Lake sono frutto della stessa società in cui Steve e Jenny vivono; sono, in potenza, i loro stessi figli o la versione un po’ più grande dei bambini adorabili di cui si occupa Jenny all’asilo. E quindi le conseguenze dello scontro sono molto più pesanti per entrambi.

Insomma, se da una parte Eden Lake pone le fondamenta in un’infinita teoria di orrori che si annidano tra i boschi (o nelle aride praterie del Texas), e procede con un ritmo serrato senza autocompiacimenti d’autore, dall’altra oggi trova compagnia in film realisti come Fish Tank o in corti come Crossbow, che è australiano ma racconta di un panorama sociale molto vicino a quello inglese.

E qui sono dieci minuti buoni che penso a una chiosa che riassuma argutamente il senso di quanto ho detto, ma la realtà è che appena ho finito di vedere il film ho sentito l’impulso di uscire a fumarmi una sigaretta per stemperare la tensione, e quel senso di “BRUTTO, BRUTTO MONDO” che mi era rimasto addosso.

E non sono mica sicura di esserci riuscita.

(estratto da http://bidonica.wordpress.com/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀


[14 APR] Mika Kaurismäki

DOMENICA UNCUT

Domenica 14 APRILE

Ore 18:30

ZOMBIE AND THE GHOST TRAIN

di Mika Kaurismäki,Finlandia, 1991.

(VO sott. in italiano)

***

Ore 21:30

ROSSO

di Mika Kaurismäki, Finlandia, 1985.

PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)
http://kinesistradate.wordpress.com/

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

ZOMBIE AND THE GHOST TRAIN

ZOMBIE AND THE GHOST TRAIN

ZOMBIE AND THE GHOST TRAIN

Un mese nella vita di Antti, detto Zombie, congedato per infermità mentale dalla leva e dedito all’alcol e al basso elettrico. L’amico Harri gli offre l’opportunità di suonare nella sua avviata band: per coglierla, però, Zombie dovrà lasciare la bottiglia.

Chissà se Sorrentino ha mai visto questo semisconosciuto — quantomeno in Italia — film di Mika Kaurismaki, il cui protagonista è pressochè identico a quello messo in scena dal regista italiano per il suo This must be the place (2011). Ma Zombie, a differenza del personaggio che interpretà vent’anni più tardi Sean Penn, è tutt’altro che uno sprovveduto o un ritardato: lui la sa lunga e certo più di tutti quelli che lo circondano, è piuttosto un ragazzo che non vuole in alcun modo diventare adulto e che preferisce passare per squilibrato piuttosto che eseguire gli ordini altrui (l’episodio iniziale del servizio militare è emblematico del suo carattere ribelle per natura).

Un antieroe alcolizzato e innamorato del rock and roll: sembra un film di Aki, invece è di Mika, fratello maggiore del Kaurismaki che due anni prima aveva diretto Leningrad Cowboys go America, prima pellicola in cui compare, nella band del titolo, Silu Seppala, ovvero Zombie, il cui vero nome è in realtà Antti: sia per il personaggio della finzione (Zombie) che per l’attore (Silu). A confermare la vena in stile Aki, ecco inoltre che Mika utilizza come co-protagonista l’attore feticcio, favorito e grande amico del fratello minore: Matti Pellonpaa, qui meno lunatico del solito, in un ruolo di contrasto a quello del personaggio centrale. Il regista si occupa anche del montaggio, della produzione e della sceneggiatura (insieme a Pauli Pentti e a Sakke Jarvenpaa), mentre la fotografia è affidata a Olli Varja, al fianco di Mika fin dai suoi esordi.

La storia di Zombie è una piccola fiaba moderna, surreale quanto basta e laconica in una maniera tutta scandinava, perennemente alla ricerca di una sensazione più che di una morale, di un coinvolgimento emotivo anzichè di una stretta coerenza della trama.

(http://cinerepublic.filmtv.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

ROSSO

ROSSO

ROSSO

Giancarlo Rosso (un grande Kari Väänänen, anche co-sceneggiatore) è un sicario della mafia, al quale viene assegnato l’incarico di uccidere una donna finlandese, che incidentalmente era una volta la sua donna. Riluttante, Rosso, parte dalla Sicilia per l’estremo Nord della tundra e della campagna finlandese, alla ricerca del suo obiettivo, Marja (Leena Harjupatana). Insieme al fratello di Marja, Martti (Martti Syrjä, il cantante degli Eppu Normaali), parte con una una vecchia macchina per ritrovarla, in un viaggio che non mancherà di rapine e fughe. Fra una citazione e l’altra della Divina Commedia, Rosso raggiungerà il suo destino.

Quinto lungometraggio di Mika Kaurismäki, è una commedia, che di divino ha ben poco. Qui i piedi sono ben saldi a terra. Un bel road-movie, attraverso le lande desolate del nord della Finlandia, Il film è recitato quasi interamente in italiano (eh si, Kari Väänänen recita in italiano, cavandosela anche egregiamente.

(http://www.asianworld.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀


14 Marzo : MANGIA IL RICCO / JOHN DIES AT THE END

DOMENICA UNCUT

Domenica 24 Marzo

Ore 18:30
MANGIA IL RICCO

di Peter Richardson, 1987.

Ore 21:00
JOHN DIES AT THE END

di Don Coscarelli,2012.
(VO. Sott. in italiano)

PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)
http://kinesistradate.wordpress.com/
▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

49 mangia il ricco eat the rich proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

 

 

 

MANGIA IL RICCO

Alex è un cameriere di colore e lavora in un ristorante di lusso a Londra. Per una inezia viene cacciato e si trova così senza un soldo e senza lavoro. Alex medita vendetta mentre il potente ministro della difesa, personaggio ambiguo e violento, conquista un crescente favore popolare. La situazione politica precipita e Alex decide allora di fare la rivoluzione con alcuni amici. Per prima cosa si impossessa del suo vecchio locale massacrandone i proprietari poi comincia a gestirlo in maniera piuttosto particolare.

 

 

 

 

 

 

 

 

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

JOHN DIES AT THE END 48 John dies at the end Don Coscarelli proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

La Soy Sauce è una nuova potentissima droga in grado di rendere visibili creature provenienti da altri mondi. Molti suoi consumatori tornano tuttavia dai “viaggi” completamente cambianti e con sembianze niente affatto umane. Alieni minacciosi stanno infatti utilizzando i corpi dei giovani ragazzi tossici come veicolo per invadere la terra. Solo due giovani nerd sembrerebbero gli unici in grado di salvare le sorti dell’umanità…

Il nuovo film di Don Coscarelli (“Phantasm”, 1979, “Bubba Ho-Tep”, 2002) è denso di simbolismi, metafore, dadaismi, invenzioni e creature degne di un Salvador Dalì cinematografico quale mostra di essere nel dipingere (più che filmare) questo prodotto molto onirico e assai poco – strettamente – cinematografico.
Qual’è la differenza tra un film e un sogno? Già, bella domanda. O tra un film e un incubo, sarebbe meglio chiedersi. Ma, d’altra parte: qual’è la differenza tra un sogno e un incubo? Queste, e altre domande mi ha stimolato “John Dies at the End”, pellicola molto attesa con la quale apro con contentezza il nuovo anno di recensioni. Dico con contentezza perché Coscarelli ci stupisce davvero, anche con effetti speciali, ma soprattutto con una storia cui dovrebbe esser dato un premio solo per la sceneggiatura, un dipinto, come dicevo all’inizio, più che una “scrittura filmica”, fatto di pennellate evocative che sfumano i loro contorni da un’immagine all’altra, creando arcobaleni gocciolanti che diventano mostri alieni ragnosi e imputriditi, per poi trasformarsi in maschere grottesche alla Max Ernst. La storia in sè non interessa a Coscarelli, che forse è ispirato da un Borroughs, da un Lovecraft, ha letto il libro omonimo di Wong da cui trae la sceneggiatura, ma poi si differenzia da queste ispirazioni perturbanti-letterarie lanciandosi nel reef del suo immaginario inconscio portandosi dietro gli spettatori tutti all’inseguimento.

Ci troviamo nella provincia statunitense, in compagnia di due amici trentenni, Dave ( Chase Williamson) e John (Rob Mayes). John si imbatte in un gruppo di giovani ad uno sconclusionato concerto di un gruppo di provincia, e durante tale evento viene introdotto all’uso di una strana droga, la Soy Sauce, nera, petroleosa e improbabile sostanza iniettabile. Dave annusa l’imbroglio cosmico e rifiuta di assumerla, ma per sbaglio si punge con una siringa di John, e scopre così che gli alieni usano i corpi degli inetti umani per invadere la terra. Il film è un fuoco d’artificio semidelirante, deliberatamente autoironico in alcune sequenze (come quella in cui la maniglia di una porta si trasforma in un grosso pene), a tratti difficilmente comprensibile nei suoi sviluppi e nelle sue contorsioni nelle quali domina sempre la visionarietà di un regista che se ne frega bellamente di tutti gli stilemi drammaturgici perturbanti e horror. Coscarelli cucina con la sua fantasia allo stato puro, mescolando ingredienti e provando nuove salse in un turbinio continuo di espedienti e inquadrature che non stancano mai, nonostante i 99 minuti di pellicola.

Forse alcuni dialoghi avrebbero potuto essere in verità debitamente accorciati, e poteva forse avere una funzione più pregnante anche la cornice narrativa del drugstore nel quale Dave racconta la sua incredibile storia a un ambiguo giornalista, un Paul Giamatti dannatamente sornione, come lo Stregatto di Alice. Eccola qui d’altronde l’associazione giusta: “John Dies at The End” è la versione maschile (omosessuale?) di “Alice in wonderland” di Lewis Carrol, una specie di “giorno del non-compleanno” del sottogenere a noi caro, dove tutto può accadere.

Non dobbiamo certo nasconderci che “John Dies at the End” è un film difficile, sicuramente astruso per certi palati abituati ai soliti plot horror, così rassicuranti nella loro cornice di inquietudini costruite a tavolino dai sempiterni Michael Bay and company.

Qui siamo su un altro pianeta, insieme ad Alice, appunto, col Cappellaio Matto, lo Stregatto e altro ancora, senza che ci vengano tuttavia risparmiate scene gore e pennellatine alla Lynch (come la protesi alla mano della giovane Amy). Come può mancare, in questo contesto “il portale” verso un altrove alieno? Lo troverete, naturalmente, ma naturalmente uguale e insieme diverso da come ve lo aspettereste. “John Dies at The End”: oggetto molto bizzarro e proprio per questo da vedere e studiare con attenzione e cura.

(http://psicheetechne.blogspot.it/)


17 Marzo

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 17 MARZO

Ore 18:30

GUMMO

di Harmony Korine, 1997.

***

Ore 21:00

BULLY

di Larry Clark, 2001.
(VO sott. in italiano)

PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)
http://kinesistradate.wordpress.com/
▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

GUMMO 46 gummo  film  proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

Xenia, Ohio. Un tornado ha distrutto gran parte delle abitazioni e decimato la popolazione (fatto realmente accaduto, siamo nel 1970). Anni dopo nulla è cambiato. Il trauma psicofisico causato da un evento naturale che ha il sapore di un diluvio universale mancato (punizione divina?) lascia nelle mani dei bambini una cittadina sperduta nel midwest statunitense.

Harmony Korine esordisce alla regia due anni dopo la convincente (e controversa) sceneggiatura di “Kids” e si distingue subito per originalità e per esplicita noncuranza delle regole del cinema mainstream americano. Un grande numero di tableaux autoconclusi e disturbanti si sovrappongono l’uno all’altro fino a formare una costruzione confusa e spiazzante. Utilizzando le prerogative del cinema direct, l’improvvisazione, la macchina a spalla, una colonna sonora slegata e frammentaria, un montaggio non lineare e alogico, il giovane autore sfida il pubblico a dimenticare la rassicurante confezione estetico-narrativa della produzione hollywoodiana e ad addentrarsi in un mondo crudele e amorale, grottesco e marginale ma sempre, e qui risiede la sua forza, credibile.

Le fantasie più assurde e animalesche di Korine non fanno che trarre spunto dalla vita reale, dal white-trash nichilista (e inconsapevole) delle periferie cittadine, dall’ignoranza dilagante di frange sempre meno marginali della popolazione americana. I bambini-padroni di Xenia(che uccidono gatti, sniffano colla, compiono atti vandalici di ogni sorta) saranno gli adulti di domani. I pochi adulti rimasti non si distinguono dai bambini per ferocia e insensatezza.

La visione è raccapricciante ma supportata da una riflessione disarmante: la mancanza di educazione e cultura non può che generare una recessione sociale e una bestialità mostruosa.

L’atmosfera in equilibrio fra un surrealismo decadente e un realismo grottesco sembra minacciata da una forza invisibile e malvagia, opprimente (le luci fluorescenti usate sul set contribuiscono visivamente). Come se un nuovo uragano fosse pronto a radere al suolo questa realtà autogestita e fallimentare.
Si lascia la sala con un senso di indefinito fastidio, nauseati dalle aberrazioni che l’uomo stesso può provocare, come se lo spleen in salsa trash in cui siamo stati immersi per 90 minuti si fosse impadronito di noi, insinuandosi nelle pieghe della nostra coscienza. Un film che lascia il segno nel bene o nel male.

Curiosità: Gummo è il soprannome di uno dei cinque fratelli Marx. Il meno conosciuto, dal momento che abbandonò quasi subito la recitazione e si dedicò alla gestione di un’agenzia teatrale.

(Matteo Ruzza http://www.pellicolascaduta.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

BULLY 47 bully larry clark  film  proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

Larry Clark è indubbiamente un artista scomodo, anche perché da decenni sente l’urgenza di svelare il vero volto, quello votato all’annichilimento di sé, di una parte dei giovani americani.

Questo Bully è il suo terzo lungometraggio e narra di un gruppo di amici, tra i diciotto e i vent’anni, che decidono ad un certo punto di uccidere un loro coetaneo per non subire più le sue angherie e malvagità. Il ritratto, quindi, di giovani di buona famiglia, fottuti motherfuckers senza alcun obiettivo nella vita, che non sia quello della soddisfazione del piacere istantaneo, dissipati tra metamfetamine, sesso meccanico e incomunicabilità.

Un ritratto purtroppo non distante dalla realtà delle nostre metropoli contemporanee…Clark all’epoca dichiarò: “Bully non è un film ipocrita. E poi, ormai, i crimini dei giovani, gli omicidi con moventi distorti di amici o genitori, accadono in tutto il mondo. E’ inutile continuare a fingere che siano casi isolati o estremi…Mi interessa molto capire le reazioni che il mio film provocherà in altri paesi dove, ne sono convinto, ci sono tanti ragazzi come quelli del mio film. Non cercavo solo lo scandalo: volevo non falsificare una parte precisa della realtà che ci circonda e che dobbiamo guardare senza i falsi sogni e le torte di mele delle favole di Hollywood”.

La rappresentazione della superficialità, dell’indifferenza e dell’inconsapevolezza dei protagonisti del suo film è un atto d’accusa deciso contro la capacità educativa di una società, la nostra, che ha ormai in mente solo il profitto e il consumo. Il film è girato con uno stile secco e distaccato, la storia è tratta da un episodio di cronaca realmente accaduto, gli attori stanno recitando fino ad un certo punto (l’attore Brad Renfro è recentemente scomparso a causa di un overdose…). Ciò che colpisce allo stomaco lo spettatore è l’assoluta mancanza di coscienza morale dei giovani protagonisti, derivante però dal totale fallimento dell’educazione impartitagli da genitori assenti e lontani anni luce dalla vera realtà dei loro figli.

La geniale sequenza finale del film è paradigmatica di tutto questo, mostrando i ragazzi, durante il processo, ignari di ciò che gli accadrà tanto sono chiusi in un universo autoreferenziale e avulso dalla realtà circostante ed i parenti, tra il pubblico, che li osservano inebetiti come se li conoscessero solo in quell’istante veramente per la prima volta.

Colonna sonora da brividi con Cypress Hill, Eminem, Fatboy slim, Thurston Moore, Tricky…Indigesta, ma preziosa, gemma inedita in Italia, assolutamente da recuperare.

(http://scaglie.blogspot.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀


10 marzo

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 10 MARZO

Ore 18:30
THE BOTHERSOME MAN

di Jens Lien, 2006.
(VO sott. in italiano)

***
Ore 21:00
BEYOND THE BLACK RAINBOW

di Panos Cosmatos, 2010.
(VO sott. in italiano)

PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)
http://kinesistradate.wordpress.com/
▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

THE BOTHERSOME MAN 44 The bothersome man  film  proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

“La verità non esiste e la vita come la immaginiamo di solito, è una rete arbitraria e artificiale di illusioni da cui ci lasciamo circondare” questo secondo Lovecraft , ma forse anche secondo Andreas (Trond Fausa Aurvaag) che ,“rilasciato” nel deserto, unico passeggero su un autobus senza ritorno, e destinato al ruolo di piccolo contabile di un’asettica holding, in una sorta di Oslo purgatoriale, assiste al proprio ingresso in una strana comunità, in cui tutto è assunzione impersonale e distacco.

Il film si apre con una scena agghiacciante per ipotesi psicologica, e presto reiterata nel film a rappresentare il disagio di un uomo, che ha colto le rimozioni di chi gli sta intorno, e sa di essere assolutamente estraneo ed alieno ai suoi meccanismi. La società di Den brysomme mannen è moderna, controllata e superficiale: è tutto perfetto, ineccepibile ma le persone dell’ufficio ad esempio, sembrano discorrere ed essere quasi ossessionate da cataloghi di arredamento e da un’idea programmatica in cui essere felice, significa non mancare le scadenze o gli accessori.

Fanta thriller esistenziale, Den brysomme mannen sembra distillare il meglio dei personaggi di Lynch e Kaurismaki, con un incipit da satira della società e del costume odierno norvegese (non è un caso che il film sia stato distribuito anche con il titolo Norway of life), che procede quasi a ritroso sui binari di un horror beckettiano, dove il protagonista in un crescendo di reazioni e proteste che culminano nella scena della metropolitana, capirà che dovrà rompere gli schemi e il diaframma convenzionale dell’universo rigido, in cui vaga come outsider, per tornare al grande nulla accecante, forse freddo, ma inizio sostanziale di ogni cosa.

Quasi una fiaba macabra e senza lieto fine, dove la proiezione però di una via di uscita, la misteriosa melodia che emana dalla fenditura di una parete, sarà l’inizio della frattura e la conclusione dell’idillio con gli strani abitatori del film…Andreas è esiliato, licenziato perché ha squarciato il velo dell’ignoto e una volta assaggiata la realtà, non è più possibile tornare indietro o affrancarsene.

Trionfatore de la settimana della critica di Cannes del 2006, con un elenco di nominations per festival, quasi interminabile, Il film non è mai stato distribuito in Italia . E’ stato diretto da Jens Lien (Johnny Vang), misconosciuto al nostro pubblico, e rinnovatore insieme al regista Bard Breien ( “Kunsten a Tenie negativt”, L’arte del pensiero negativo), dei registri della black comedy nordica, che mescola l’orrore che nasce dalle maschere del quotidiano (consumo estemporaneo della civiltà e delle sue derive), con il teatro esistenziale e crudele dell’assurdo.

(Estratto della recensione di malvasya http://www.splattercontainer.com/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

BEYOND THE BLACK RAINBOW 45 beyond the black rainbow  film  proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

Beyond the Black Rainbow è un film talmente al di fuori dai canoni attuali della fantascienza che, a prescindere dal risultato finale, da una buona idea di quanto fertile possa talvolta essere il terreno delle produzioni indipendenti odierne. Pur nella sua unicità, il film del regista canadese Panos Cosmatos è anche il tipico esordio concepito come atto d’amore nei confronti di una precisa stagione cinematografica, nello specifico quello della fantascienza distopica che ha avuto il suo periodo di massimo splendore tra la fine degli anni sessanta e il decennio successivo.

Sintetizzandone e in un certo modo aggiornandone le intuizioni estetiche, il lavoro di Cosmatos si pone quindi come ultimo arrivato di una famiglia che può contare su illustri esemplari come 2001: Odissea nello Spazio di Kubrick, THX 1138 di Lucas e Solaris di Tarkovsky, tanto per fare i nomi più altisonanti. Un cinema che si esprime attraverso uno stile visivo curatissimo, fatto di suggestioni estetiche tra lo psichedelico e il metafisico sorrette da trame spesso ermetiche e tendenti al filosofico. Se recentemente lo splendido Eden Log di Franck Vestiel ha dato un profilo moderno a questo genere, l’approccio di Cosmatos è al contrario chiaramente revivalistico, pur non limitandosi ad un recupero pedissequo dello stile della fantascienza dell’epoca ma anzi aperto anche a suggestioni dei decenni successivi, evidenti ad esempio nelle sonorità synth che accompagnano le immagini.

Trip ipnotico pregno di immagini simboliche e surreali, Beyond the Black Rainbow è, prima di tutto, una ricerca estetica d’avanguardia che si pone a metà strada tra il concetto tradizionale di “cinema” e la videoarte. Riflesso della medaglia è che tali ambizioni estetiche non trovano un degno supporto nell’impianto narrativo, veramente povero ed inconcludente, aspetto che risulta essere il grosso limite del film ed inevitabile spartiacque per il pubblico.

Immergersi nel magma sintetico di Cosmatos può risultare tanto tediante quanto un’esperienza unica, in ogni caso è un tentativo vivamente consigliato. Nel peggiore dei casi vi farete una gran dormita, nel migliore vedrete cose che gli altri esseri umani possono solo immaginare.

(Grinderman http://www.splattercontainer.com/)


▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀


3 Marzo

DOMENICA UNCUT

Domenica 3 Marzo
NOBORU IGUCHI PAPA!

Ore 18:30
ZOMBIE ASS : TOILET OF THE DEAD

di Noboru Iguchi, 2011.
(VO sott. in italiano)

Ore 21:00
DEAD SUSHI

di Noboru Iguchi, 2012.
(VO sott. in italiano)

PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)
http://kinesistradate.wordpress.com/
▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

NOBORU IGUCHI è il maestro riconosciuto dei B-movies trash. Una sorta di Ed Wood in salsa splatter-demenziale. Come spesso accade a chi estremizza i suoi prodotti e trasmette al pubblico il divertimento che prova a realizzarli, è ormai un regista di culto e i suoi film girano i festival di mezzo mondo. Anche se talvolta le sue trovate possono dar fastidio o provocare addirittura la nausea, non si può negare che si sia in presenza di un talento inventivo, seppur al servizio della distorsione visiva e comunicativa. A fianco di una lunga esperienza nel campo degli Adult Video, in cui ha fatto film su quasi ogni aspetto delle perversioni sessuali, Iguchi ha realizzato – spesso in cooperazione con Nishimura Yoshihiro, mago degli effetti speciali e più volte regista di film analoghi di grande successo – vari film che uniscono sesso, horror, splatter, fantastico e ogni possibile genere e contaminazione di genere.
Dead sushi, realizzato l’anno dopo il successo della commedia horror Zombie Ass, definita “escatologica”, in cui gli zombie escono dal water, è un film che non può mancare in una maratona di mezzanotte degna di questo nome.

[Franco Picollo http://sonatine2010.blogspot.it/]

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

ZOMBIE ASS : TOILET OF THE DEAD 42 zombie ass  film  proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

Zombie Ass di Noboru Iguchi racconta di un gruppo di amici che parte in vacanza nei boschi. Niente di nuovo, dite? Beh si, ma questa volta il film non si prende sul serio neanche per cinque minuti e fa una delirante variazione sul tema. Una ragazza del gruppo ingerisce un verme trovato in un pesce per restare magra (???). Subito dopo il gruppo viene aggredito da uno zombi che li costringe a fuggire verso un mucchio di costruzioni e, soprattutto, verso un bagno, visto che l’aspirante modella ha dei crampi orribili. Malgrado le condizioni igieniche degne del bagno di Trainspotting, la giovane decide di usarlo comunque e nel mentre qualcosa si muove sotto di lei…

Durante la fuga da una prima ondata di zombi maleodoranti e ricoperti di liquami, i cinque si rifugiano in casa dello strano Dr. Tanaka e di sua figlia Sachi. Inizia l’assedio e, a garantire una buona dose d’azione, c’è la protagonista che padroneggia le arti marziali.

Delirante, imbarazzante, divertente, spesso di pessimo gusto, con brutti effetti speciali e un bodycount prevedibilissimo, il film non delude le aspettative di chi decide di passare la serata guardando qualcosa dal titolo così improbabile. Tutti gli stereotipi jap del genere sono rispettati: bondage, divise da studentesse tagliate in punti chiave, mostri vermiformi e fallici, scienziati pazzi, ecc. Il regista ha dichiarato di voler fare un film con persone infettate da parassiti e con belle ragazze che “fanno aria”: un proposito infantile su carta, ma ben realizzato e divertente.

Anche per gli standard giapponesi, questo film è estremo e non è certo adatto a chi si scandalizza o si schifa facilmente. A chi, invece, piace il genere il consiglio è di vederlo assolutamente: molto splatter, divertente, con belle scene di erotismo soft e un combattimento finale ancora più delirante del resto del film…

Zombie Ass è perfetto per una serata fra amici con un buon quantitativo di birra…

(DRIVER http://www.splattercontainer.com/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

DEAD SUSHI  43 dead sushi  film  proiezione domenica uncut cineforum kinesis tradate varese cineclub

E se fosse il Sushi ad azzannare voi?

Noboru Iguchi ci svela un segreto spaventoso: anche il Sushi ha un’anima, dei sentimenti, una dignità. E soprattutto anche il Sushi ha fame, fame di Sushi Umano!!! Dopo aver visto il Trailer di Dead Sushi non potrete più guardare allo stesso modo un piatto di questa tipica specialità giapponese…il terrore che uno di quei bocconcini colorati si animi e vi azzanni la gola sarà troppo forte. Lo so. I ristoranti giapponesi doteranno i propri clienti di giubbotti di kevlar ed elmetti antiproiettile e, fra le norme, oltre ad assicurarvi che il pesce con il quale è stato realizzato il sushi è freschissimo, i proprietari dei locali dovranno garantirvi che il Sushi è stato ucciso prima di essere servito in tavola.

Lo so. Avrete paura.

Grazie Noboru Iguchi, maestro di saggezza, non vediamo l’ora di goderci questa tua nuova opera, un capolavoro annunciato.

Recitano, combattono, mangiano e uccidono Sushi in questa pellicola Rina Takeda e Shigeru Matsuzaki…Dead Sushi!!!

(Actarus http://www.splattercontainer.com/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀


9 Dicembre

DOMENICA UNCUT – DOMENICA 9 DICEMBRE

 

 

Ore 18:30

LA MORTE HA FATTO L’UOVO

(Giulio Questi 1968)

***

Ore 21:00

ARCANA

(Giulio Questi, 1972)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
PROIEZIONI GRATUITE

Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)
http://kinesistradate.wordpress.com/

DOMENICA UNCUT:
https://domenicauncut.wordpress.com/

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

LA MORTE HA FATTO L’UOVO

Secondo film di Giulio Questi: un giallo anarchico, destrutturato e arricchito di nuove forme.

Tutte le opere di Giulio Questi sono difficilmente catalogabili: il genere è un dettaglio, una forzatura, che al maestro va stretta sin dagli inizi. Ne La morte ha fatto l’uovo, salta ogni schema e punto di riferimento per lo spettatore: l’immagine e la struttura narrativa camminano su strade parallele e, proprio quando sembrano toccarsi, è l’intervento di montaggio a separarle. Il montatore (e sceneggiatore) Franco Arcalli, più che al raccordo pensa, infatti, al contrasto: un assemblaggio strampalato di elementi diversi, apparentemente scollegati l’uno dall’altro, che così combinati riacquistano un senso e una nuova dimensione.

Ritorna prepotente, anche in quest’opera, un certo gusto dell’orrido (violenza e forzatura visiva), un elemento tipico che ricorre nella filmografia di Questi quasi fosse un’ossessione: i polli geneticamente modificati, senza ali e senza testa, brancolano come storpi in balia degli eventi, lasciando addosso una sensazione di piacevole ribrezzo. Fa da sfondo una scena mutevole, che si tinge di una vena pop straniante, pienamente anni ’60: niente più registro unico ma continui cambi cromatici accompagnano numerose e ossessive incursioni pubblicitarie che rimandano al consumismo imperante (in maniera quasi profetica Questi parla già di OGM) e alla politica arraffona, tipicamente italiana. Originale e fortemente sperimentale anche la colonna sonora – composta dalle musiche di Bruno Maderna – che accompagna per mano i personaggi del film, in ogni loro movimento, calcando fino allo stremo ogni singolo crescendo narrativo.

Gulio Questi regala al cinema ‘uno sguardo d’autore’ originale e spiazzante, che potremmo comodamente inserire al fianco di Marco Ferreri. Una carriera di visioni estreme, contrastata dalla presenza ingombrante della censura e mai pienamente riconosciuta.

(Alessandra Sciamanna, estratto della recensione di www.bizzarrocinema.it)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
ARCANA

Incatalogabile, sfuggevole e pienamente fuori dai generi; disarmante per la sua immediatezza visiva

Arcana è il terzo (e ultimo) lungometraggio del maestro Giulio Questi, un’opera ancora una volta sperimentale e spiazzante – forse la più “sbottonata” di tutte – che sottolinea, in modo sempre più evidente, la libertà espressiva di un regista insofferente alle regole e ai generi preconfezionati.

La signora Tarantino, affascinante vedova meridionale, emigra a Milano con suo figlio. Si guadagna da vivere facendo la medium e leggendo le carte ma, in realtà, non possiede alcun potere paranormale. Suo figlio, invece, è dotato di poteri spaventosi, ma ancora non é in grado di dominarli: è infatti un pericolo annunciato per chiunque lo avvicini. Tra le “vittime” prescelte, c’è Marisa, bella e ingenua ragazza che subirà tutti i desideri e tutte le volontà del giovane. Sullo sfondo, una Milano insolita, a tratti surreale, a tratti spaventosamente realistica.

Arcana è un’esplosione di immagini forti e spiazzanti, sorrette da un impianto narrativo originale, pregno di temi spinosi e quanto mai attuali. Il complesso di Edipo, l’incontro/scontro (violento e malato) tra genitore e figlio, sono tutte questioni che, Giulio Questi, pone senza remore al centro della vicenda; ma lo fa in maniera tutt’altro che brusca, “solleticando” quel tanto che basta per scuotere e disarmare. Il film è composto da una serie interminabile di momenti cult e scene di indiscutibile impatto visivo. Le sedute spiritiche, ad esempio, realizzate dalla medium Lucia Bosé – magnetica e sempre sopra le righe – sono curate in ogni minimo dettaglio: dalla fotografia, tetra e affascinante, alla regia, spasmodica e irrequieta, proprio come i soggetti che intende filmare. Vi sono poi diversi momenti che oscillano tra il surreale e l’onirico, come il singolare esorcismo, palesato attraverso la fuoriuscita di numerose rane dalla bocca degli invasati, e il rapporto/violenza sessuale tra il figlio della Tarantino e la giovane ragazza.

Sicuramente un’opera difficile, nel senso più alto del termine, che cattura sguardo, mente e corpo, e che non lascia via di fuga sin dalle prime battute. Un film incatalogabile, sfuggevole e pienamente fuori dai generi, che disarma soprattutto per la sua immediatezza visiva.

Cinema allo stato puro.

(Alessandra Sciamanna. Recensione di www.bizzarrocinema.it)


18 NOV // MR. FREEDOM // THEMROC

Domenica 18 Novembre

Ore 18:30
MR. FREEDOM (Evviva la libertà)

di William Klein, Francia, 1969.
(VO sott. in italiano)

***

Ore 21:00
THEMROC (Il mangiaguardie)

di Claude Faraldo, Francia, 1973

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)
PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

MR. FREEDOM (Evviva la libertà)

… Signori questo è un grande film, dove cinema e pop art si fondono: i suoi fotogrammi scorrono come piccoli affreschi nel mio Tv color, ora che sono riuscito a procurami una copia ingiallita in vhs da un cinefilo amico mio; affreschi rovinati, ingialliti, perché tutto si ossida e invecchia,sopratutto la celluloide, e la successiva rimasterizzazione in digitale in italiano di questo film non avverrà mai.

La lebbra del tempo spesso dà una qualità aurea a certe vecchie pellicole, come ai filmati amatoriali o ai vecchi super8 di famiglia, con la cresima, il matrimonio, etc… Ciò non mi ha dunque tolto l’immensa soddisfazione d’essai di rivederlo questo no-musical, fumettone sci-fi post-sessantottino, il cui pizzone ha girato a loop nelle tv private per decenni. Tanti lo ricorderanno, tanti lo debasereranno, ma il regista di Mister Freedom è un futurologo: vide il declino americano nel periodo del flower power, dei musical Hair e Oh Calcutta!, del petroldollaro forte e della guerra fredda. “Mr. Freedom” precede Rambo e Robocop di secoli, egli è il paladino del partito delle libertà, e pare uscito da un incrocio tra uno sceriffo texano, il gigante egoista, Superman/Capitan America, e un vitaminizzato footbal player: tutto preso com’è dai valori americani da esportare nel mondo è incaricato dal capo supremo di una supermultinazionale di andare a risolvere i problemi della Francia, alle prese col 68, gli euro-comunisti di Mugick Man e addirittura i filo-maoisti di super Mao-Mao. Se crolla la Francia l’Europa è perduta-afferma mr. Freedom. Tra gli attori abbiamo addirittura Philippe Noiret, Donald Pleasance, Delphine Seyrig, e John Abbey.

Tristemente profetico-il partito delle libertà vi dice qualcosa?- il mito del selfmade man, del presidente operaio, del padrone delle ferriere e delle tv,è proprio come descrive sé stesso Mr.Freedom ai suoi comizi, mentre manda in onda i documentari koyaniskaatsi sparati a folle velocità sul benessere americano. “Freedom” è acclamato come un messia, come una rock star che fà la sua entrata trionfale nell’auditorium: siamo una grande famiglia afferma plasticato come un cyborg, col mantra dell’anticomunismo guerrafondaio. In questa kermesse massmediatica, è profetico anche il finale con “Mr. Freedom” fra le macerie che butta l’atomica colpendo pure i suoi commilitoni anticipava in modo sinistro le immagini, dell’attentato in Cia-mondovisione (?) – alle torri gemelle . E se un giorno si scoprisse che Berluskoni è un umanoide biologico al servizio di qualche Grande Vecchio?

Concludo con le parole di Mr Freedom himself: “L’America pupa è ben altro credimi. E ora te lo spiego. Quello che abbiamo ce lo teniamo, è Dio che ce l’ha dato e guai a chi si prova a toccarlo, ma se lasciamo fare a Quelli, ci sflilano le mutande e ci portano alla fame come nel Biafra. E allora No! Meglio gettare l’atomica, fare terra bruciata. Da noi si brucia il grano quando ce n’è troppo.. Tutto. Da noi si brucia tutto ciò che non si può vendere… Questa è la legge amica mia… Non hai soldi? Vattene! Questa è politica… Una volta le cose erano diverse, eravamo una nazione giovane… l’America era americana..Tutti per uno, uno per tutti…”
(http://www.debaser.it/)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

THEMROC (Il mangiaguardie)

Operaio verniciatore della squadra esterna presso la ditta “Gentil”, Themroc rimane un giorno sconvolto da assurde discussioni sindacali seguite dagli immotivati rimproveri e castighi da parte di un superiore. Semimpazzito, il protagonista torna al modestissimo appartamento nel quale vive con la madre e la sorella e vi inizia una rivolta radicale: abbattendo un muro esterno, trasforma l’abitazione in una specie di grotta trogloditica e panoramica sul cortile; diviene l’amante della sorella, una ragazzetta minorenne, e poi della dirimpettaia; si esprime a grugniti. Un poco alla volta il suo comportamento diviene contagioso e, per conseguenza, intervengono gendarmi, poliziotti e soldati: ma Themroc li ridicolizza; ne cattura due; insieme ad altri li arrostisce e li mangia. Il contagio si diffonde in tutta la città dalla quale di notte si alzano urla belluine.

Apologo radicale di taglio anarchico e libertario condotto al ritmo farsesco del teatro dell’assurdo.

…Volete la rivolta, l’animale affamato di caos…quello che sovverte?..Questo è il film. Film senza dialoghi, solo grugniti, (e intendo senza una parola in nessuna lingua, un muto rumoroso) come i primati in Odissea 2001..Scene, personaggi ed eccessi fiondano lo spettatore in un mondo anarchico e diverso. Un muro non è più confine sicuro ma un ostacolo da abbattere platealmente..Le auto inutili orpelli..L’autorità un bersaglio da lunapark, gli uomini in divisa una cena (da qui il titolo)…Themroc, una medicina contro l’inevitabile reflusso biliare che il momento che viviamo ci procura.

M. Piccoli è (come sempre) già da solo un motivo per amare il cinema.

(http://graforlok1922.blogspot.it/)


Domenica 4 novembre.

DOMENICA UNCUT

DOMENICA 4 NOVEMBRE

ORE 18:30 :
QUELL’ULTIMO GIORNO – LETTERE DI UN UOMO MORTO
(Письма мёртвого человека di Konstantin Lopushansky, URSS, 1986)

ORE 21:00 :
STALKER (Сталкер di Andrej Tarkovskij, URSS, 1979)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso:
KINESIS via G. Carducci N.3
Tradate (Varese)
PROIEZIONI GRATUITE

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

QUELL’ULTIMO GIORNO – LETTERE DI UN UOMO MORTO

QUELL’ULTIMO GIORNO – LETTERE DI UN UOMO MORTO
(Письма мёртвого человека di Konstantin Lopushansky, URSS, 1986)


Vivere sottoterra per trent’anni, forse cinquanta, forse per sempre. Questa non è una minaccia, e nemmeno un cattivo presagio, bensì l’obiettivo da raggiungere, per quel che resta dell’umanità dopo l’apocalisse.

Letters from a Dead Man, esordio targato 1986 del russo Konstantine Lopushanskij, allievo di Andrej Tarkovskij e tuttora in attività, racconta l’incubo di un mondo prossimo a sparire, in cui nulla ha più valore, nemmeno il tempo, nemmeno la cultura, in cui l’unico requisito richiesto ad un libro è che abbia la copertina rigida e le pagine in carta naturale buone da ardere per scaldare gli ambienti, in cui ogni ora è uguale all’altra in un crepuscolo interminabile, in cui un’umanità annichilita si trascina per inerzia rinunciando ad ogni prospettiva, e in cui un uomo di scienza profondamente avvilito dal fallimento della stessa può esser preso per pazzo perché rifiuta la tesi del pianeta al collasso, perché nella devastazione generale trova ancora la forza di cercare un appiglio verso il futuro, perché ambisce ad individuare una formula che parli ancora di vita all’aria aperta, perché crede nella sopravvivenza della specie, perché si produce in pensieri positivi e lungimiranti per non morire dentro, perché coltiva un’illusione per darsi un obiettivo, per mantenersi vivo.

Girato a ritmo catatonico e caratterizzato da un impianto visivo fitto e claustrofobico che sfrutta una fotografia monocromatica e densa dominata da inquietanti tonalità seppia per donare alle ambientazioni più varie un senso di sconfortante uniformità e disperante desolazione, quello di Lopushanskij è un film poetico lugubre sconvolgente ed irrimediabilmente pessimista che disegna la parabola discendente di un uomo romantico alle prese con il declino di una specie che non sa più lottare e che ha accettato l’estinzione come conseguenza logica ed inevitabile della propria inettitudine.
Letters from a Dead Man è un’esperienza di non-vita che lascia attoniti e disarmati.
(Estratto della recensione di pazuzu)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
STALKER

STALKER (Сталкер di Andrej Tarkovskij, URSS, 1979)

Un metorite caduto sulla terra ha prodotto strani fenomeni in una zona, prontamente protetta e recintata dall’esercito. Per entrarci esistono però delle guide clandestine, chiamate “Stalker”, capaci di condurre chiunque lo richieda fino alla “camera dei desideri”. Uno scrittore, uno scienziato e uno stalker partono verso la misteriosa zona. Ne torneranno profondamente cambiati.

Per un viaggio al centro dell’universo che potrebbe essere anche l’ultimo. “Stalker” di Andrej Tarkovskij (liberamente ispirato al racconto “Picnic sul ciglio della strada” dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij) è un viaggio “dantesco” negli insondabili misteri del creato, un distillato sublime di tecnica cinematografica al servizio di un incantevole riflessione sulla natura dell’uomo e il senso della vita che si fa etica dello sguardo. L’autore russo ci immerge in un paesaggio acquitrinoso, tra i relitti di un mondo dismesso e la ricerca itinerante di un sapere “irraggiungibile”, dove è la presenza fondamentale e fondativa degli elementi naturali (soprattutto dell’acqua, acqua dappertutto) a fungere da centro gravitazionale di ogni mondo possibile e dove i passaggi cromatici dal bianco e nero virato in giallo della città e i colori sgargianti della Zona danno l’idea della differenza tra ciò che è transitorio in quanto precario e ciò che rimane necessario perché eterno. Segnato dal mirabile equilibrio tra speculazione filosofica e istanze dell’animo, il film è permeato da una forte carica spirituale, una spiritualità laica perché è immanente alle cose del mondo e perchè non ha una natura trascendente ma si accompagna ai percorsi della ragione accrescendone la carica vitale.

Il professore è portato a concepire l’universo come ad una concatenazione di eventi che si susseguono secondo il necessario rapporto di causa effetto.
Lo scrittore è più incline a guardare le cose seguendo l’imponderabile casualità degli eventi che permeano nel profondo l’ordine del mondo. Ma tanto il calcolo razionale quanto l’astrazione intellettuale perdono di ogni consistenza cognitiva all’interno della Zona, dove la ricerca massima della conoscenza comporta l’abbandono del modo solito con cui ci si rapporta con le nozioni di spazio e tempo, dove la strada più consona per arrivare alla meta non è sempre quella più corta e dove le carcasse di carri armati abbandonati , case diroccate, binari ciechi, nel loro essere le macerie di un mondo defunto, danno sostanza a quell’assoluta mancanza di coordinate riconoscibili che accomuna i rispettivi percorsi esistenziali. Penetrare la Zona e sfidare tutte le insidie che la popolano per arrivare fino alla Stanza, nel centro chiarificatore di tutti i misteri, significa, di per se, iniziare a farsi delle domande sulla natura profonfo dell’uomo, su quale carattere permea maggiormente la sua condotta di vita : l’istintiva propensione a perseguire un utile individuale o la capacità altruistica di sapersi in pace solo in sintonia coi propri simili ? essere attratto dal male o riconoscere il bene in quanto tale ? Porsi queste domande significa iniziare a dubitare della propria stessa natura, scoprirsi deboli rispetto alla volontà di potenza di cui si può entrare in possesso. Significa aver paura della Stanza che, da luogo che può esaudire ogni richiesta, si trasforma in quello che può realizzare solo i desideri più intimi e segreti, quelli che caratterizzano nel profondo l’essenza di ogni uomo e “anche se non ne sei perfettamente cosciente, li porti dentro e ti dominano sempre”. Ecco l’esito del viaggio (o uno dei possibili almeno) : la scoperta della limitatezza umana rispetto all’immensa voragine della conoscenza.

Ed ecco la grandezza di Andrej Tarkovskij, che si avvicina ai grandi temi del pensiero filosofico senza risultare didascalico e senza alcuna accenno moralizzante. La sua equidistanza dalle cose che tratta è la stessa che caratterizza lo Stalker, un novello “Caronte” che si accompagna alle dispute dottrinarie dei due compagni di viaggio riparandosi dietro la fideistica accettazione di un mito. Il suo linguaggio cinematografico è proiettato in avanti pur facendo ampio utilizzo della sempiterna potenza creatrice degli elementi della natura. La sua capacità di fare un arte per l’arte si sposa col destino sfortunato della piccola figlia dello Stalker, che riesce a spostare un bicchiere con la sola forza del pensiero, un pensiero che nasce dalla ferma volontà di poterci credere. Il finale ce la restituisce come l’unica fonte di colore in mezzo a un mondo tinto di grigio, sommersa dall’Inno alla gioia che suona come un inno al futuro.
(Estratto della recensione di Peppe Comune )


Proiezioni in riva al lago

DOMENICA UNCUT- 12 AGOSTO 2012
SULLA RIVA DEL LAGO DI COMABBIO
Ore 21:30
L’estate di Kikujiro di Takeshi Kitano, 1999.
Ore 23:30
Violent Cop di Takeshi Kitano, 1989.
▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
Presso LA SAUNA recording studio
Via dei Martiri n.2 -Varano Borghi (VA)
FREE ENTRY
▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
LA SAUNA :
https://www.facebook.com/pages/La-Sauna-recording-studio/68777161401
http://www.myspace.com/saunarecording
http://www.lasaunastudio.com/
!!! IMPORTANTE !!!
NON PARCHEGGIATE LUNGO LA STRADA PROVINCIALE. MULTA SICURA.
Potete invece lasciare la macchina:
– nel parcheggio vicino al ponte della ferrovia, in direzione varano
– nel parcheggio a 200 metri dallo studio sulla sinistra in direzione Corgeno/Vergiate
– nel parcheggio dal Camping “La Madunina”, sempre in direzione Corgeno/Vergiate, sulla destra a 300 metri dallo studio
-Nelle stradine sulla collina sopra lo studio.
▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀
L’estate di Kikujiro E’ estate. Masao (Yusuke Sekiguchi) è un bambino di nove anni che non ha nessuno con cui giocare. Vive a casa della nonna e non conosce i suoi genitori. Casualmente trova in un cassetto una foto della madre e , con pochi soldi in tasca, decide di mettersi in viaggio nella speranza di poterla rivedere. Kikujiro (Beat Takeshi), alter-ego del rude, irresponsabile e violento Azuma di Violent Cop, viene incaricato dalla moglie di accompagnare il piccolo. La strana coppia incontrerà lungo la propria strada i personaggi più bizzarri e stravaganti: due motociclisti metallari e mammoni, un vagabondo nudista, gli uomini di un boss della malavita…
Masao vivrà un’estate indimenticabile: conoscerà la gioia e la sofferenza ma soprattutto saprà di avere un nuovo grande amico con cui ridere e scherzare. Dolce e commovente, delicato e divertente, L’Estate Di Kikujiro è una pellicola intimamente segnata da un lessico essenziale e dalla costante propensione dell’artista a ricercare una continua sperimentazione nella scelta delle immagini. La ridondanza delle tecniche di ripresa si legge tanto nella sostanziale ciclicità delle scene proposte, quanto nell’attento ed accurato impiego di inquadrature quasi sempre frontali.
Interessante, infine, notare anche la capillare attenzione mostrata per l’illuminazione e rinvenibile, ad asempio, nell’innovativo utilizzo del “bruciante verde estivo”. Come dire che ancora una volta la collaborazione tra Kitano ed il direttore della fotografia Yanagishima ha sortito i suoi più proficui effetti. (Etratto della recensione di revisioncinema.com)

▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀

VIOLENT COP

Prima di questo poliziesco sui generis, Kitano aveva già recitato in diversi film (il più celebre è “Furyo” di Nagisa Oshima). “Violent cop” avrebbe dovuto essere diretto da Kinji Fukasaku, che però diede forfait all’ultimo momento per problemi di salute. Kitano chiese allora di subentrare come regista, ne riscrisse la sceneggiatura e ne cambiò completamente il tono (inizialmente doveva trattarsi di una commedia!), disorientando non poco gli spettatori che non si aspettavano da lui un film tanto duro e cinico. La storia è quella di Azuma, poliziotto sociopatico dai modi spicci e refrattario alle regole, che indaga sull’apparente suicidio di un collega e amico, sospettato di collusione con una banda di trafficanti di droga. Dopo estenuanti inseguimenti, scazzottate al ralenti e spietate sparatorie, la pellicola termina con un finale nichilista che non risparmia nessuno. Pur con uno stile ancora lontano dai livelli che raggiungerà in seguito, l’idea di cinema del regista è già lucida, coerente e originale: lunghe carrellate – o, più spesso, inquadrature fisse – si soffermano sui personaggi e sulle ambientazioni (per esempio nelle prolungate riprese del protagonista che cammina sul ponte della ferrovia), la musica di Daisaku Kume (non c’è ancora Joe Hisaishi, che dal terzo film diventerà un collaboratore fondamentale), che si ispira a Erik Satie, sottolinea in maniera eterodossa tanto le scene concitate quanto i momenti di riflessione, mentre la sceneggiatura descrive le azioni dei personaggi senza inutili didascalismi. Nessun elemento della pellicola è messo a caso, e si ha sempre l’impressione che il controllo del regista su tutto ciò che si vede sullo schermo sia totale, come in Ozu. Molti dei temi e degli elementi più cari al regista sono già presenti, come l’amicizia, il tradimento, la malattia (con la sorella del protagonista che soffre di disturbi mentali e che viene rapita e ripetutamente violentata da una gang di drogati) e le scelte radicali ma necessarie. Il titolo originale significa “Quest’uomo è pericoloso!”

(Etratto della recensione di tomobiki.blogspot.it)


▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀▀